Ho frotte di turisti in transito qui davanti, ma è come se non ci fosse anima viva; ho un bel posto e ben curato e tra l’altro rinnovato poco prima dell’inizio della pandemia e negli ultimi mesi ho anche fatto apportare qualche modifica all’esterno, ma è come se non esistessi; al mio telefono arrivano ondate di prenotazione, ma è come se mi avessero staccato la linea. Inutile l’avere una carta con il fresco quotidiano dal monte e dal mare, e tra l’altro in zona pregiata e dall’elevato grado di interesse, se arriva la pioggia e per effetto di un’aberrante gestione delle norme igienico-sanitarie in funzione anti-“Coronavirus” non posso garantire uno spazio coperto ai miei ospiti, nemmeno come rifugio nel caso una nube si insinui e voglia far pipì proprio qui o giunga una folata rabbiosa di vento. C’è questo, almeno questo, nella scritta (“Chiuso per maltempo”) lasciata ieri sulla lavagnetta – in foto GdT – all’esterno di un ristorante lungo la Cantonale della ValleMaggia. “Chiuso per maltempo”, che fa il paio con lo storico “Chiuso per nervoso” del novembre 1966 a Firenze, sugli esiti dello straripamento dell’Arno…