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A margine / L’hockey che non piace (e oggi siamo tutti Flavian Wyer)

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Compirà 31 anni, domani, Flavian Wyer: che è un serenissimo attaccante in quell’hockey che s’usa definire di seconda schiera ma che non è di secondaria importanza, trattandosi per contro del tessuto trofoconnettivo che ci porta da sempre e per sempre ad aspettare il momento in cui si possa tornare con le lame sul ghiaccio e, quando la stagione finisce (ed in qualsiasi modo essa sia finita), a contare i giorni che ci separano dalla ripresa dell’attività. Flavian Wyer, dopo aver ben galleggiato per quattro stagioni anche in cadetteria elvetica con il Visp dalla cui filiera giovanile era uscito e dopo aver prestato il bastone anche nella allora Prima lega con Saastal e CransMontana, si era fermato nel 2010 per dedicarsi anima e corpo allo studio ed al lavoro; dopo un paio di anni, il rientro sul livello della Seconda lega, impegno sì ma nessuna pretesa, ed anzi con manifesta volontà di non andare oltre questo livello. A suon di goal e di assist, in verità: 378 punti in 184 partite nell’arco di otto campionati più lo scampolo di quello corrente, roba da fuoriclasse per la categoria.

Non è l’unico, Flavian Wyer, ad aver compiuto una scelta personale lontano dal professionismo pur con l’opportunità di restarci. Oggi, tuttavia, a lui è accaduto di potersi di nuovo misurare con i professionisti, con il suo Raron sorteggiato quale avversario dello Zugo nei 16.i di finale della Coppa Svizzera; ed è andato a bersaglio, minuto 21.48, assist da Kevin Moren anch’egli per qualche tempo allogatosi in Swiss league con il Sierre. Sarebbe questa una bella storia di sport, se non fosse che quel goal è rimasto solingo ed unico sul conto del Raron-Rarogne allenato da Jan Zenhäusern tra l’altro a noi caro in quanto figlio del defunto Aldo già in maglia luganese: dei vallesani, fieri rappresentanti di un borgo da meno di 2’000 anime, lo Zugo militante al massimo livello nazionale ha voluto fare strame, maramaldeggiando ad organico di fatto completo (per dire degli stranieri, c’era Santeri Alatalo finlandese, c’era Ryan McLeod canadese, c’era Carl Klingberg svedese, c’era Jan Kovar ceco; per dire dei nomi grossi, c’era Raphaël Diaz ex-Nhl, c’era Leonardo Genoni da Serravalle frazione Semione) per chiudere sul 25-1. 25 (venticinque) dischi piazzati nella gabbia avversaria, nove alle spalle di Yacine Djerrah e 16 alle spalle di Thibaud Bernazzi; a statistiche, sei goal e tre assist per il solo Lino Martschini, doppiette per tanti, e via.

La domanda: a quale pro? Per far rimarcare la differenza di rango? Per timbrare in cronaca un “evento” memorabile? Per far dire, ai circa 700 che si erano dati appuntamento sugli spalti della pista di Visp dal momento che nell’impianto di Raron sarebbe stato impossibile l’allestimento di un numero sufficiente di posti a sedere), di aver assistito ad una “Fort Alamo” in cui qualcuno usava i kalashnikov e qualcun altro aveva a disposizione un arco e tre frecce in tutto? Perché Dan Tangnes allenatore dello Zugo aveva bisogno di provare qualche situazione, ad esempio il reinserimento del menzionato Lino Martschini, e poche erano state sino ad ora le opportunità? Ma fateci il piacere, fateci. Diciamo piuttosto che è stata una pessima pagina, un’attestazione di antisportività, una prova di forza esercitata contro chi pari forza non avrebbe potuto esprimere perché non tale forza non ha. National league contro Seconda lega regionale, vogliamo per caso discuterne pensando che nell’hockey la si possa mettere sullo stesso piano, per di più a piena efficienza di assetto? Per di più: 3-0 sul tabellone dopo 71 secondi dal primo ingaggio, forse che già a quel momento sussistevano dubbi sul nome della squadra destinata a vincere? Passi per le reti in superiorità numerica, in fondo due sole su due penalità minori perché il Raron, pur sotto la tempesta, si è rifiutato mentalmente di buttarla sull’aggressivo (direte: sarebbe stato un modo stupido per farsi anche male; rispondiamo: abbiamo visto cose anche più stupide, ed a buttarsi in un vicolo cieco come i rissaioli da bar nella periferia di Chicago erano soggetti da contratto a cinque zeri per quadrimestre) ed è rimasto sereno e tranquillo; tutto il resto è letteratura buona per quelli che invocano l’importanza dell’essere professionisti e professionali quale che sia il contesto.

Dobbiamo semmai domandarci quale esempio lasci questa partita. Che cosa potrà pensare stasera Thibaud Bernazzi, età 20 anni, trafitto per 16 volte in 30 minuti e 19 secondi? Che l’hockey fa schifo, e che gli idoli che egli ammira (non è questo il tempo in cui ci viene inculcato l’effimero principio dell’ispirarsi a qualcuno, dell’imitare qualcuno, del far di qualcuno un modello?) non hanno né rispetto né pietà per altri atleti magari meno talentuosi, magari meno fortunati, magari meno dotati fisicamente e di certo non predestinati, ma che al loro stesso modo sudano, macinano chilometri, sacrificano tempo e caviglie e ginocchia? Che ci si deve inchinare? In altri sport parimenti competitivi – si pensi al football americano dei “college” Ncaa, àmbito da cui esce la stragrande maggioranza dei giocatori da National football league – esiste una “mercy rule”, una formula con cui i due allenatori possono accordarsi per la riduzione della durata di un incontro qualora l’esito sia segnato e magari prenda consistenza il rischio di un risultato umiliante; non potendosi abbreviare la partita, a qualcuno che nello spogliatoio dello Zugo ha qualche livello di responsabilità non è venuto per caso in mente di dire che bon, mo’ basta, i quattro stranieri vadano a farsi la doccia, giochiamo a due linee con il terzo e con il quarto blocco e la chiudiamo qui? Evidentemente, no.

Poi lo Zugo, chissà, vincerà campionato e Coppa Svizzera, chissà, mentre il Raron farà fatica a confermarsi nel “play-off” della sua Seconda lega; e pazienza. Ma stasera offriremmo volentieri da bere a Flavien Wyer, mentre non daremmo un passaggio ai dirigenti dello Zugo nemmeno se sul ciglio della strada vedessimo ferma la loro auto per guasto meccanico irreversibile, e nel frattempo stesse diluviando, e da quel luogo al più vicino consorzio umano si dovesse camminare per tre ore. In immagine, un momento del confronto Raron-Zugo, che i tabellini ufficiali dicono essersi concluso sull’1-25, mentre a noi conta il superamento del turno da parte dei vallesani, causa autokappaò culturale e morale dello Zugo.