A dati di tre o quattr’anni addietro (si sta scrivendo all’impronta e si fa uso della memoria, con riserva di verifica e di aggiornamento delle cifre), in Ticino c’erano 2’400 tra ristoranti, bar ed affini. Facciamo la tara, per esempio togliendo di mezzo quel che è stagionale e quel che non richiede patente di esercizio; diciamo 2’000? Bene: con una riga una nell’articolato delle norme funzionali alla riapertura di bar e ristoranti, e trattasi di materia di lunedì prossimo venturo, è stata imposta l’eliminazione dei giornali cartacei in quanto possibili vettori di contagio da Covid-19. Questo significa, nei termini propri della cultura, che verrà a mancare un servizio di informazione; a danno del cliente anche l’abrogazione di un valore sociale che è proprio del ritrovo pubblico (la stampa ha fatto storicamente perno su bar, osterie, trattorie e ristoranti). Per le aziende editoriali, sull’onda di una prevedibile raffica di disdette degli abbonamenti, il rischio di perdere introiti per centinaia di migliaia di franchi (restandosi ai due sopravvissuti ticinesi in cartaceo quotidiano, 360 franchi l’annuale del “Corriere del Ticino” e 380 franchi l’annuale della “Regione”; un paio di migliaia di copie in meno anche tra “Gazzetta dello sport” e “Blick”, secondo i luoghi). Poi non si venga a dichiarare che la tutela della stampa, e della sua libertà, è un impegno assunto e permanente…