Più e più e da più parti erano state le istanze, perché anche a questo conduce l’anno zero da Covid-19: alla rivelazione dell’esservi, in Ticino, una famiglia ricostituita ogni tre, e non di rado con figli che sino alla maggiore età si incrociano fra le abitazioni dell’uno e dell’altro genitore. Buon segno, ancorché di certo non tale da raccogliere consenso univoco, è quanto in materia di diritto di visita è stato introdotto da Berna e nei giorni scorsi mutuato in Ticino, ferma restando la dichiarata priorità del contenimento del contagio rispetto al rigoroso mantenimento dei contatti diretti; diritto che viene ribadito, tuttavia con irruzione nella sfera privata di quanti vengono sollecitati all’ennesimo “sforzo supplementare nell’interesse dei figli”. Perché sì, è vero (e ciò viene riconosciuto), in molte famiglie i diritti di visita vengono esercitati “con senso di responsabilità e nel rispetto delle indicazioni sanitarie ricevute”, eventualmente con sostituzione, “se necessario”, per tramite di videochiamate (che sono e restano tuttavia altra cosa); ma “ogni situazione è unica e diversa dalle altre”, ed “in ogni fattispecie” sono da ponderarsi “sia gli interessi generali di salute pubblica legati al contenimento del virus, sia l’interesse del minore a mantenere un contatto regolare con il genitore con cui il minore non vive” (meglio sarebbe stato tuttavia il dire che è da preservarsi anche l’interesse del genitore a mantenere la regolarità di tale contatto; chi si trovi in tale condizione capirà senza bisogno d’altro).
Per quanto riguarda il Ticino, in linea con le raccomandazioni uscite dalla “Conferenza per la protezione dei minori e degli adulti-Copma”, almeno per altri 10 giorni ossia sino a tutta domenica 19 aprile, lo stato dell’arte poggia su alcuni fondamentali ma non è privo di ombre: a) i diritti di visita ai minorenni collocati in istituti sono momentaneamente sospesi e sostituiti con contatti telefonici; b) circa i minorenni collocati in famiglie affidatarie, è fatto formale invito alle famiglie di sostituire i contatti di persona con contatti telefonici o videochiamate; c) per quanto riguarda i punti di incontro, richiesto l’accompagnamento dei genitori a sperimentare modalità alternative ai diritti “fisici” di visita. In sede delle cosiddette “Autorità regionali di protezione-Arp”, inoltre, ai curatori educativi (cioè a coloro che sono deputati a vigilare sull’esercizio delle relazioni personali) sono state date istruzioni a “proporre modalità alternative ai diritti “fisici” di visita”, mentre indicazioni precise non sono state date per tutti gli altri casi di genitori separati, “nel rispetto della libertà di ogni famiglia di organizzarsi e di tutelare il bene del minore ed il suo diritto a frequentare entrambi i suoi genitori”. Aspetto interessante: in seno alla citata Copma viene affermato che, “nella maggior parte delle situazioni”, due nuclei familiari distinti in cui siano rispettate le indicazioni sanitarie di isolamento sociale in cui vivono i genitori di un minore o di più minori “sono da considerarsi come un unico nucleo diviso in due abitazioni”, e dunque il minore si troverebbe ad alternare i soggiorni tra un nucleo e l’altro senza che ciò costituisca problema. Eppure… eppure, e sono sempre i vertici Copma a parlare, “vi sono casi nei quali il rischio di contagio o il per la salute pubblica giustifica che i genitori (…)” si trovino concordi sul fatto “che le relazioni personali tra il genitore non affidatario ed il minore siano mantenute in modo alternativo”, e pare proprio che l’unica “alternativa” risieda ancora nelle videochiamate quand’invece in varie situazioni basterebbe un po’ di fantasia e di ingegno.
Ad ogni modo, quattro sono di massima i casi da videochiamata senz’altra formula: a) se in uno dei nuclei vi è una situazione di vulnerabilità al contagio (motivi di salute) da parte di un genitore o per un nonno “residente nel nucleo familiare e non altrimenti collocabile” (discorso, quest’ultimo, riprovevole di principio. Ma, si sa, l’evento-“Coronavirus” ha portato ad una ghettizzazione mentale della persona anziana); b) se per l’organizzazione della famiglia o delle famiglie (per esempio, nelle famiglie ricostituite multiple) sussiste per il minorenne un rischio di esposizione al contagio, esposizione che potrebbe in seconda battuta riverberarsi sull’altro genitore o su “un nonno residente nel nucleo familiare e non altrimenti collocabile”; c) se il genitore non affidatario lavora in àmbito “sanitario oppure ospedaliero ed è esposto al contagio” da Covid-19; d) infine, se consta il mancato rispetto delle indicazioni sanitarie da parte del genitore non affidatario. Lasciamo stare, “pro bono pacis”, la distanza tra teoria formulata ed applicabilità di tali concetti; non a caso l’autorità politica cantonale fa anche qui appello “al senso di responsabilità richiesto a tutti i cittadini”, nella logica “di trovare le soluzioni adeguate anche in questo delicato frangente”. Qualora tuttavia i genitori non riuscissero proprio a trovare una soluzione di comune accordo, si legga quanto segue: “Al genitore che ha motivo di far sospendere il diritto di visita spetta l’adire l’“Autorità regionale di protezione”, motivando la sua richiesta”. E di sicuro con risposta immediata, vero?