Si era inventato tutto, o almeno: si era sceneggiato una situazione, un contesto, un episodio; ad altra autorità, e non grigionese e non svizzera, l’eventuale compito di accertare se crimine vi sia stato, e da parte di chi, ed a danno effettivo di chi, e dove, e con quale esito. Ma di quella rapina denunciata nel febbraio scorso, una rapina – disse colui – perpetrata lungo la A13 a San Vittore ad opera di più malviventi e con modalità da poliziottesco di terz’ordine, v’era traccia solo nella sua fantasia e nella testimonianza resa agli agenti della Polcantonale che avevano raccolto asserzioni allarmanti: nientemeno che una banda organizzata, nientemeno che un inseguimento ed una manovra di affiancamento tale da costringere l’ignara vittima ad accostare su una piazzuola Sos, direzione nord, appena oltre il segnale di confine fra Ticino e Grigioni; e di più, e di meglio o di peggio secondo i punti di vista, perché dal gruppo dei criminali si sarebbe staccato un soggetto mascherato e magari anche armato. Uno di quelli con cui non si scherza, eh, nossignori; uno che sapeva, tra l’altro, di dover mirare alla valigetta tipo ventiquattrore che stava in bella vista nell’abitacolo o nell’immediata disponibilità del bersaglio. E che, dopo aver prelevato il bagaglio ed averlo svuotato del contenuto (quanto? Un milione di franchi svizzeri; del resto, chi metterebbe in piedi tutto ‘sto ambaradan per quattro spicci?), si sarebbe persino dato la pena di lanciare la valigetta oltre la recinzione dell’autostrada. Una cosa insensata, anzi, ridicola.
Ridicola era in realtà l’intera ricostruzione dei fatti, così come formulata dal soggetto che, presentatosi ad un posto di polizia manifestandosi in disperazione mista ad accoramento e con equo contorno di “choc” dipinto sul volto, aveva spiegato per filo e per segno anche gli accadimenti successivi alla rapina: così com’erano piombati su di lui coartandone la libertà di pensiero e di azione, i banditi si sarebbero sfilati con rapidità da Nembo Kid e con tattica di esfiltrazione degna dei Marines, lasciando lì il sedicente rapinato a baloccarsi con la rabbia. Lì, ma non privo di mezzi e di strumenti per raggiungere una sede opportuna, cioè il luogo in cui sporgere denuncia. Alle dichiarazioni, ed a quanto precisato su seconda e terza istanza tanto pareva enorme la vicenda, gli inquirenti avevano dovuto prestare occhi ed orecchi cercando via via di capitalizzare le notizie e di incasellarle in uno scenario fatto di punti fermi. Quelle certezze, cammin facendosi nelle indagini, venivano invece a mancare sull’impossibilità di trovare conferme a ciò che sarebbe dovuto risultare incontestabile; ad esempio, le banali leggi della fisica affermano che lungo un’autostrada i veicoli tendono a non dissolversi nell’aria; sempre ad esempio, di frenate brusche tipiche della manovra a tenaglia non c’era segno sull’asfalto; ancora ad esempio, nessuno aveva visto simili ospiti lungo l’intero asse della A13 da Bellinzona-nord a Mesocco, e lo stesso dicasi circa il corrispondente tratto della Cantonale. In un concetto semplice e conclusivo: dalle indagini poste in atto è risultato chiaro che “gli eventi descritti non potevano corrispondere alla realtà”, formula edulcorata per contestare alla presunta vittima tutto quel che la presunta vittima aveva raccontato. E guarda un po’ quel che succede: una volta messo alle strette, ossia nel momento in cui al sedicente uomo d’affari – di lui si sa che proviene dal Canton Friborgo e che ha 47 anni; nessuna indicazione, invece, sulla nazionalità – furono manifestate le incongruenze riscontrate, ecco spuntare una confessione candida candida. No, a San Vittore l’uomo non era stato rapinato; e nemmeno sulla A13 in altro tratto; e nemmeno sulla A2 o sulla Cantonale o su una strada di campagna.
Ma ecco la postilla spiazzante: “Guardate che la rapina c’è stata, da un’altra parte”. Beh, ci racconti, buon uomo; e qui la seconda storia, una seconda storia, un’altra storia, pensatela come vi pare ed avrete in ogni caso ragione. Alle brevi: la rapina sarebbe avvenuta nel Varesotto, diciamo a Cardano al Campo o a Lonate Pozzolo o a Somma Lombardo o a Vizzola Ticino o a Casorate Sempione o meglio ancora a Ferno, sicché abbiamo elencato tutti i Comuni sul cui territorio insiste l’aeroporto della Malpensa che, nella nuova dichiarazione, sarebbe stato luogo per l’incontro tra l’uomo d’affari ed un “broker”. Incontro poi non avvenuto, perché al posto della persona attesa – e destinataria di una modestissima commissione su lavoro portato a termine: sapete, l’inezia di 440’000 euro, chi ai giorni nostri va in giro senza una cifra del genere in contanti – si sarebbero presentati alcuni “delinquenti mascherati” perfettamente idonei a compiere la rapina. Anche lì, nemmeno un capello torto; anche lì, fuga dal nulla verso il nulla. Variante: anziché andare ad illustrare il “fatto” alle autorità aeroportuali o ad una qualunque stazione dei Carabinieri, scelta che tra l’altro avrebbe condotto all’attivazione immediata di un dispositivo di ricerca, l’uomo d’affari si era rimesso al volante ed aveva fatto rientro in Svizzera, meditando strada facendo sul da farsi e decidendo infine di… denunciare la rapina subita. Con qualche modifica di poco conto, che diamine: non in Italia ma in Svizzera; in luogo predeterminato secondo appuntamento anziché in una qualunque piazzola per il soccorso stradale sugli sviluppi di un’azione di forza; in orari diversi, inoltre. E, già che c’era, ecco che 440’000 euro si erano trasformati in un milione di franchi, a condizioni di cambio che non riuscireste ad ottenere dal cambista di fiducia nemmeno puntandogli un’arma da fuoco alla tempia.
Per quale motivo poi il tizio avesse pensato di collocare tale rapina sulla A13 e proprio a San Vittore, mistero. Ci sarà modo di spiegare anche questo, fra un po’, davanti alle autorità giudiziarie del Canton Grigioni: per ora vale un’ipotesi di reato che si chiama “sviamento della giustizia”, poi si vedrà.