Crudi, chiari e senza sconti. Due sole sono le possibilità: che don Rolando Leo sia responsabile di tutti gli addebiti ipotizzati (o di parte sostanziale dei medesimi), o che egli sia vittima di una macchinazione o di accuse infondate; sulla prima ipotesi si fonda la clamorosa inchiesta esplosa ieri con il fermo del sacerdote, direttamente al “Collegio Bartolomeo Papio” in Ascona dove egli è docente e cappellano, mentre alla seconda – che è qui proposta senza elementi di comprova ma in forza del suo logico sussistere: non si avrebbe, in caso contrario, alcuna presunzione di innocenza – nessuno sembra più dar credito. Anzi: nessuno sembra voler sperare che dalla sede giudiziaria esca una risposta diversa da quella al momento data come unica verità, voci perimenti gli atti sessuali con fanciulli, la pornografia, la coazione sessuale e gli atti sessuali con persone incapaci di discernimento o inette a resistere, un carico che nell’arco di 24 ore ha portato dal primo interrogatorio alla carcerazione preventiva, quest’ultima disposta oggi da Paolo Bordoli nel ruolo di giudice dei provvedimenti coercitivi. Ciò significa che don Rolando Leo, 55 anni, da Mendrisio, tra l’altro direttore dell’Ufficio insegnamento religioso scolastico, presidente della “Comunità di lavoro delle Chiese cristiane in Ticino”, membro del “Forum svizzero per il dialogo interreligioso ed interculturale” ed assistente diocesano di pastorale giovanile oltre che docente, sarà ospite per qualche tempo – sino a due mesi – del carcere giudiziario “La Farera” in Lugano quartiere Cadro, struttura penitenziaria dove il religioso è stato tradotto in giornata, per il prefigurato carcere preventivo; già svolto un primo, sommario colloquio con l’avvocato difensore. Tutto il resto è nel sospeso sopra acque torbide, come vedremo per brevi cenni partendo dal fondo.
Primo: netta la presa di distanze da parte dei vertici del “Collegio Bartolomeo Papio”, che per firma di don Patrizio Foletti rettore – con il concorso di Paolo Scascighini, suo vice – hanno scelto di indirizzarsi ai genitori degli allievi con una lettera invero priva di contributi sostanziali (ma si può capire, o almeno questa è una sostenibile chiave di lettura, potendosi credere che nemmeno lì siano disponibili notizie che poggino su pietre angolari). Sconcerto e dolore, certo, e la conferma dell’essere “dignità e rispetto della persona” due elementi che oggi “come sempre anche in passato” rimangono “al centro delle (nostre) attenzioni”; la questione, precisa don Patrizio Foletti, parrebbe a tutt’oggi “non toccare l’attività” del sacerdote per quanto riguarda il collegio stesso; cattolicamente eccepibile la chiosa circa il restare “a disposizione per ascoltare il vostro disagio” ed il fare “quanto possibile per iniziare in modo sereno l’anno scolastico”.
Secondo: come riferito ieri dal “Giornale del Ticino” e da alcune altre testate, il fermo del sacerdote ha avuto luogo direttamente negli ambienti del “Collegio Bartolomeo Papio”, essendo don Rolando Leo rientrato lì da poche ore dopo un pellegrinaggio in Bosnia-Erzegovina, meta Medjugorje. Si può immaginare tuttavia che sia monsignor Alain de Raemy amministratore apostolico sia don Patrizio Foletti rettore dell’istituto fossero già stati messi al corrente – se non per altro, in ragione della correttezza nei rapporti istituzionali – di quanto stava per accadere; a comprova, anche l’insolita tempestività con cui è uscito il comunicato-stampa della Curia ed il fatto che, a differenza di quanto avvenuto in vari altri casi anche in un recente passato, l’identità del presbitero è emersa nel volgere di poche ore.
Terzo: il fermo di don Rolando Leo – si ripete: contro don Rolando Leo sono state avanzate accuse gravissime, ma per lui come per ogni altro soggetto non colto in flagranza non può essere espresso un giudizio sino a che sentenza definitiva sia stata pronunziata – è giunto sul finire della prima decade di agosto quando l’informazione sui presunti abusi era stata accolta e raccolta direttamente da monsignor Alain de Raemy in un momento imprecisato del mese di marzo; tempi indubbiamente lunghi, laddove era palese la possibile reiterazione di uno o più tra i reati ipotizzati. Don Rolando Leo ha tuttavia continuato ad insegnare e ad occuparsi delle attività di sua competenza: lo stesso viaggio a Medjugorje ha avuto luogo con un gruppo di ragazzi di cui il presbitero – insieme con il confratello don Kamil Cielinski – è stato conduttore ed animatore, le tappe delle varie presenze in eventi comunitari sono state documentate in una sorta di continuo diario pubblico via “social” e sulle pagine del portale www.catt.ch; prima del pellegrinaggio nell’ex-Iugoslavia vi era stata a luglio, per 24 ore, la presenza al campo dell’“Azione cattolica giovani” con base alla “Montanina” di Blenio frazione Camperio; nulla davvero era stato accertato nel frattempo, nulla che potesse indurre ad un intervento d’autorità?
Quarto: si sa ora che il caso è stato originato da affermazioni di una persona oggi maggiorenne ma che maggiorenne non era al tempo in cui sarebbero stati commessi gli abusi. Vicenda, se vicenda c’è come sembra, del 2019 o del 2018 addirittura. Legittimo sempre, sia affermato e ribadito, l’adire le vie legali; legittimo anche che qualcuno, da maggiorenne e quindi investito di maggiori diritti oltre che di maggiori doveri, prenda solo a questo punto il coraggio a due mani e parli. Gli anelli della catena di trasmissione, nel caso, sono tre più uno: il denunciante, l’amministratore apostolico, il magistrato – nella fattispecie, la procuratrice pubblica Valentina Tuoni – cui sono state “girate” le informazioni; il “più uno” è per l’appunto don Rolando Leo. L’unico che per rispetto dell’abito talare, per rispetto della comunità dei fedeli, per rispetto della Chiesa cattolica e “pro veritate”, non necessariamente nell’ordine qui proposto, dovrebbe proclamare: “Sì, ho fatto, è vero” o “No, non ho fatto, non è vero”. Un’affermazione semplice, elementare, tre secondi di fiato in tutto. Ma non fra mesi, non fra settimane, non fra giorni: adesso e sùbito.