Mai un punto fermo, mai la parola “Fine” sulle questioni afferenti al Tribunale penale cantonale fra i cui effetti di recenti turbolenze s’hanno da ricordare le esautorazioni – con siluramento confermato poi ed anche in sede di Tribunale federale – dei giudici Francesca Verda Chiocchetti e Siro Quadri: Fiorenzo Dadò, granconsigliere in quota neocentristi giàp e presidente cantonale del partito stesso, è stato posto sotto inchiesta penale – titolare del “dossier” è il procuratore generale Andrea Pagani – con addebiti che vanno dalla denuncia mendace alla falsa testimonianza. L’azione partita dal ministero pubblico in Lugano verte per l’appunto su fatti avvenuti lo scorso anno in àmbito Tpc, con riferimento “in particolare” (così in stringata nota-stampa diffusa; è implicitamente riconosciuta l’esistenza di altri aspetti controversi) all’“asserita ricezione” nel settembre 2024, da parte dello stesso deputato, di un plico da mittente anonimo e con corredo iconografico (cioè foto) che Fiorenzo Dadò avrebbe poi portato all’attenzione dei membri della Commissione granconsiliare giustizia-diritti, di cui era tra l’altro presidente; materiale, si ricorda, afferente l’ora già magistrato Mauro Ermani, effettivamente poi dimessosi.ù
L’Ufficio presidenziale del Legislativo cantonale è stato reso edotto circa la situazione; per parte sua, Fiorenzo Dadò ha preso atto, autosospendendosi dalla commissione stessa (mero passo di lato, sino ad avvenuto chiarimento del caso; non strettamente dimissioni, dunque, ma autoibernazione), per pari tempo rinunziando all’immunità parlamentare e contestualmente raccogliendo l’immediato sostegno dei vertici suoi sodali in politica (“Vicinanza ed amicizia”, ed ancora un invito a riflettere “sugli strumenti che consentano a un deputato di esercitare pienamente il proprio ruolo di vigilanza sull’attività dello Stato, tutelando efficacemente le proprie fonti” (e) “senza esporsi a gravose conseguenze giuridiche”. L’avvocato Carlo Borradori, da cui il deputato ha scelto di farsi rappresentare, non ha mancato di contestare nell’immediato l’impalcatura delle accuse: “Massima la collaborazione” assicurata agli inquirenti; insussistente, secondo la tesi del legale, l’ipotesi di reato configurata come falsa testimonianza dacché si tratterebbe infatti dell’ancoraggio ad “un’ammissione resa da (Fiorenzo) Dadò”, le cui “dichiarazioni ora oggetto” erano state o sarebbero state espresse agli inquirenti con il solo ed unico “intento di salvaguardare l’identità della fonte di una segnalazione a lui pervenuta”; respinto a muso duro il velame accusatorio circa la mendacità della denunzia (Fiorenzo Dadò avrebbe solo fatto da tramite nel trasferimento dell’informazione – testo più immagini – a lui asseritamente giunta, dando notizia alla Commissione granconsiliare giustizia-diritti; il materiale è poi passato – vero: il deputato ora sotto inchiesta godeva d’un ruolo di preminenza in tale gremio – dalla commissione al Consiglio della magistratura ed al procuratore straordinario che l’autorità politica cantonale aveva nel frattempo nominato quale normatore e “normalizzatore”.



