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Tra Grisham e Ciseri e un «J’accuse» l’addio a Marco, sindaco del Ticino

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(ULTIMO AGGIORNAMENTO, ORE 15.10) Le tinte di un giorno d’agosto festevole, semmai gli fosse stata consentita una scelta, Marco Borradori avrebbe gradito per congedarsi dal mondo; e tali colori ebbe, stamane, a Cornaredo, senza il breve corteo per le vie della città in ragione di mutato programma ma con un caleidoscopio di immagini, di volti, di testimonianze catafratte, i sussurri ed i mormorii sulle tribune più delle parole spese dagli oratori ufficiali (Ignazio Cassis, consigliere federale; Norman Gobbi, consigliere di Stato; Michele Foletti, vicesindaco di Lugano; Luca Borradori, figura di primo piano nel mondo medico, cugino del defunto). Sensazione passeggera: non tutto sarebbe piaciuto, il profluvio di elogi e l’intombamento nella prosopopea in particolare, al già sindaco di Lugano che da una settimana a questa parte – dal momento stesso, dunque, in cui si propagò la notizia dell’infarto con esito letale – è stato riconosciuto, se non nella forma almeno nella sostanza, quale primo, storico sindaco della Città-Ticino; ma di qualcosa si dovrà far menzione, di qualcosa si dovrà tener conto. Tra gli applausi un equo spazio – così Michele Foletti, testimone di tre decenni condivisi in militanza politica leghista – per il cenno della politica delle porte aperte, simboleggiata dalla volontà dell’ora estinto di far tenere sempre spalancati i cancelli di Palazzo civico, sede del Municipio; nel silenzio prima, in un urlo di commozione della folla poi, il “j’accuse” – inatteso, repentino, e dall’inusitata durezza – del collega Andrea Leoni, cui il sindaco aveva ripetutamente espresso amarezza per l’esser stato trattato “da criminale”, negli ultimi mesi, da frammenti tanto rumorosi quanto irrilevanti in un Ticino che di altro deve primariamente occuparsi. Sulla “riconoscenza” a Marco Borradori, “riconoscenza anche per quel che ci verrà grazie a te” nella sintesi delle sintesi a commento di un passo da san Paolo ai Filippesi, ha insistito monsignor Valerio Lazzeri, vescovo di Lugano, consegnando “nelle mani del Padre l’intera esistenza” del defunto quale misura della dimensione della persona umana; del resto, ed il presule ciò aveva già espresso nel primo messaggio di cordoglio, si sta salutando un uomo che “ha speso con generosità le sue energie ed i suoi talenti”, forse ne ebbe due come il servitore di mezzo nella citazione da Matteo evangelista e non cinque come il servitore preferito, ma quei due seppe far fruttare.

Il laico ed il sacro, il civile ed il religioso, anche nella selezione dei brani che grazie ad Osi e “Civica filarmonica” hanno scandito un programma rispettato alla lettera, ed un tratto comune nel nitore del cuscino di rose sulla bara, sovrano diritto riservato a Carlotta, figlia di Marco: quanto era doveroso e giusto verso lo scomparso, in altri momenti si sarebbe optato per piazza Della Riforma quale luogo della cerimonia, oggi solo lo stadio era teatro sufficiente benché a schiere forzosamente rarefatte per esigenze di distanziamento sociale. E lì, d’improvviso, si è avuta l’impressione del “déjà vu/déjà lu” a quadri ed a piani sovrapposti o sovrapponibili, secondo le distinte sensibilità, secondo le diverse conoscenze, con pensieri estemporanei ed emergenti per associazione di idee. Come in un Antonio Ciseri, ed è l’identità del “Trasporto di Cristo al sepolcro” che sta in navata sinistra alla Madonna del Sasso in Orselina, capolavoro in cui giunge contezza dell’essere tutto già compiuto e quindi non più interessano l’ascesa al Calvario, la crocifissione, la morte e la deposizione, mentre conta il tempo di quel viaggio che è funerale, la parte più trascurata in ogni descrizione evangelica, eppure solo in quei minuti ed in quelle ore ti trovi davvero sotto gli occhi di tutti; anche qui, a Cornaredo, l’essenza dell’umano è stata spostata a braccia, con lo sforzo di persone in deferenza ad una persona, eppure con il tocco della compostezza, dell’incedere, del potersi anche affermare che questo dolore non ci sarà inutile. E come in un John Grisham fuori dal genere “legal”, e sono le pagine dell’“Allenatore”: in parallelo il radunarsi nelle ore dell’attesa e della progressiva rassegnazione all’ineluttabile, qui gli amici ed i colleghi e gli stessi collaboratori di Marco Borradori e là, nel romanzo, il gruppo di quanti sotto coach Eddie Rake avevano trionfato nel football americano con il verde degli Spartans nell’immaginaria Messina high school, ed il ripercorrere con la memoria i tempi belli e quelli anche meno belli, e poi i funerali che diventano tempo per riesaminare e per rivalutare sé stessi in relazione alla persona scomparsa, e sé stessi nel rapporto con la realtà che quella persona contribuì a plasmare; e l’atto conclusivo è ovviamente in uno stadio, “inclusivo” proprio come monsignor Valerio Lazzeri – magistrale e spiazzante, eppure in nulla eterodosso – volle rendere Cornaredo, non rifaremo il discorso sulla speranza ma quello fu il fulcro, ed allora il funerale, cioè il momento della cesura, tutti hanno maturato ed elaborato, ed al lutto impariamo almeno ad associare un “Grazie”.

Né santo, né eroe, e nemmeno uomo con pretese soverchie nel quotidiano, Marco Borradori. Che giurista ed avvocato fu per formazione, e consigliere nazionale, consigliere di Stato, municipale di Lugano e sindaco di Lugano fu per elezione; più che il nome iscritto all’angolo di una via o di una piazza, “honoris causa” gli si riconosca semmai il titolo di primo sindaco del Ticino.