Home CRONACA Seconda lingua per il medico “universitario”? No, non si può…

Seconda lingua per il medico “universitario”? No, non si può…

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Massì, figurarsi se è importante che un medico esercitante professione universitaria possa andare a consulto con un collega nella lingua madre di quest’ultimo; massì, figurarsi se in Ticino può avere importanza la conoscenza di un secondo idioma nazionale, che si presume ogni medico (medico: un professionista con formazione completa e maturata nell’arco di decenni, non di quarti d’ora). E guai a coloro che osarono sostenere il contrario: quasi che il sistema debba puntare all’abbassamento sistematico dell’asticella delle competenze, bocciata al massimo livello elvetico, vale a dire in sede di Tribunale federale, la fuga in avanti tentata in Ticino nel contesto della revisione della Legge sanitaria, laddove gli onorevoli membri del Gran Consiglio, a buona maggioranza, avevano sostenuto una piccola ma opportuna esigenza, da tradursi nel segno dell’autonomia in conoscenza di una seconda lingua nazionale quale condizione per l’esercizio dell’attività. Sì, vero: nella legislazione federale è richiesta una sola lingua nazionale, e quindi sussisteva una “criticità” dal punto di vista giuridico; logica vorrebbe tuttavia che, in un Paese qual è la Svizzera e per di più in un àmbito nel quale la letteratura è proposta in vari idiomi, et cetera et cetera senza che sussista il bisogno di troppe spiegazioni.

Ecco, invece no. Materia oggetto di ben due sentenze, e dal testo pervenuto oggi a Bellinzona, in accoglimento di ricorsi partiti da due cliniche private (il che potrebbe anche non stupire) e dall’“Ente ospedaliero cantonale” (e questo, per contro, sorprende assai); non che a “Mon repos” sembrino essersi sforzati più di quel tanto, ed infatti viene sostenuto – citasi da nota-stampa, che auspicabilmente precede soltanto la diffusione del documento nella sua integrità – che “le disposizioni federali in materia di requisiti per l’autorizzazione dell’esercizio alla professione” sono esaurienti. Basta quello, e chissà che cos’era pretendevano, i legislatori ticinesi, nel rilevare che un medico non può aver minor competenza linguistica – che sappiamo noi? – di un contabile o di un giornalista, i quali contabile e giornalista produrrebbero in ogni caso minor danno, per un fraintendimento linguistico, rispetto al professionista sanitario dalla cui valutazione può dipendere la vita di una persona; e non è facile ironia, perché al tempo del dibattito granconsiliare il punto nodale era stato riconosciuto proprio nell’imprescindibilità della competenza linguistica (suvvia, una seconda lingua oltre all’italiano, in Ticino…) al fine di garantire uno svolgimento in sicurezza delle funzioni professionali.