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Pala & piccone / Pubblicità da “harakiri”, “micasa” no es su casa

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In materia di strategie di comunicazione da casa “Migros” su suolo ticinese, negli ultimi anni, molto si ha diritto di obiettare; ad ogni modo, meno di quanto si dovrebbe contestare circa le distorsioni e le forzature imposte al pensiero di Gottlieb Duttweiler (campagna “pro-alcool” insegna) e meno ancora di quel che sarebbe da dirsi sulla gestione dei dipendenti e sull’informazione al personale stesso in prossimità della chiusura di una certa unità “Do it+garden”, così come sulla decimazione delle “Scuole Migros” e sulla demolizione delle attività specializzate. Poi uno incappa nel cartellone pubblicitario che dovrebbe convincere il cliente a dare fiducia ai punti-vendita “micasa”, da sempre privi della lettera iniziale capitale (la maiuscola, insomma), in forza di non si sa quale intento sparagnino, pitocco e micragnoso; ad impatto, somiglianza sputata alla massima punizione che tra i “ragazzi della via Pàl” era inflitta ai reprobi sicché, prima dell’espulsione, nome e cognome del membro destinato a non rimanere più tale erano registrati e trascritti in sole lettere minuscole nel libro della “Società dello stucco”; insomma, un “micasa” che è anche leggibile come “mica sa” sicché pare che chi lì è non abbia idea di quel che fa.

Peggio dice, solo che lo si guardi, il cartellone: per l’ignoto autore del testo (e/o della esecuzione grafica), la Svizzera non è nemmeno degna della lettera iniziale capitale; spiacente, figliolo autore o figliola autrice di cotanto sfregio, ma non hai la statura – né fisica, né morale – per sfidare la grammatica e l’ortografia ed il senso di una nazione. Se è per quello, non hai nemmeno la statura per generare una valenza del concetto che a parer tuo starebbe dietro alla “micasa”, nella forma di un ottimismo che tu, incauto ed incompetente qual sei, si traduce in un piatto vuoto, straordinario esempio di votazione e di vocazione alla frugalità ed anzi al neopauperismo, vivrete d’aria e forse d’amore, oppure modalità di autodenuncia, ai nostri prezzi o comperate il piatto o comperate il cibo. A men che, come si coglie in osservazione frontale, la foto intenda rappresentare altro, ma certo, un profilattico, un preservativo. E no, non è una pubblicità provocatoria, non è una pubblicità “in modo che se ne parli e purché se ne parli”; è un brutto modo di spendere i soldi, e di prefigurare qualche altro “harakiri”, e di certo non un bel messaggio di accoglienza.