Pare un po’ la truffa dei disperati; purtroppo, il rischio di incappare in un delinquente che si inventa l’incredibile c’è e resta. Dopo il falso nipote (“Ciao nonna guarda come mi diverto e quanto ti voglio bene”), dopo il falso specchietto (“Mi ha urtato in parcheggio, mi ha urtato in parcheggio, ho anche il testimone…”), dopo la falsa donazione (“Sono ricca ma sto morendo, non ti conosco ma voglio che questi soldi vadano nelle tue mani perché so che sei una persona buona”) e dopo il falso testamento (“Le scrivo come avvocato del defunto Tizio, che le ha lasciato trentordici fantastilioni di talleri subsahariani”), ecco spuntare alle nostre latitudini i falsi incidentati, cioè gentaglia che al telefono si spaccia per parente o conoscente di tempi lontani o magari figlio o figlia di un’amica di famiglia e che sui due piedi, ma mille volte profondendosi in iscuse per l’incomodo generato e causato, ti spara nell’orecchio la richiesta del guiderdone, cercando di impietosirti con una storia da paura. A parlare della recrudescenza di questo fenomeno, che è poi e soltanto un’edizione malamente aggiornata della solita truffa ai danni di persone sensibili e che sono portate a credere all’interlocutore o all’interlocutrice dalla parlantina sciolta e dagli argomenti solidi come il granito dell’Onsernone, sono oggi i vertici della Polcantonale essendo state raccolte più e più comunicazioni in tal senso da parte di privati cittadini, perlopiù nel Sottoceneri.
Il trucco gode già, e tra l’altro, di una variante: a prendere contatto non è il sedicente parente o il sedicente amico, che alla prova della voce o dell’inflessione si farebbe sgamare, ma un parimenti sedicente stretto familiare del medesimo: “Salve, ciao, sei Paolo? Sono la moglie di Giovanni, sì, il tuo amico, non ci conosciamo ancora di persona ma capiterà l’occasione, ed a proposito di occasioni… ecco, Giovanni ha avuto un incidente in Nepal (o in Transilvania, o in Borduria, o in Palombia; si va a fantasia, ndr) e si trova in ospedale, devono operarlo ma non accettano le nostre coperture assicurative, quel benedett’uomo mi muore se non si fa qualcosa, sto tentando con una colletta almeno per le spese vive…”, e via di racconti che spingono spingono spingono sempre nella stessa direzione, cioè lo spillamento di quattrini ballanti e sonanti, “Vai in posta e ritira quel che puoi, passo io o mando nostra figlia a ritirare, sì, facciamo davanti al bar della piazza”. Dove arriverà un tizio o una tizia, magari saltando giù di corsa dal “taxi”, e “Grazie grazie grazie” denaro sfilato denaro partito denaro svaporato e poi corri dietro alle patate, se ti accorgi che è tutt’un raggiro.
Raccomandazioni, quelle solite: diffidare, diffidare e poi ancora diffidare, ti fregano quelli che si spacciano per amici e che conosci e figurarsi se non provano a spremerti il portafogli quelli che tanti saluti alla tua faccia. Aggiungeremmo: se contattati, chiamare sùbito le forze dell’ordine e consigliarsi con loro; un’ideuzza in tale direzione si avrebbe anche, e con la garanzia di qualche soddisfazione.