Sostengono di avervi intercettati mentre stavate dando una sbirciata a qualche sito InterNet la cui frequentazione, ad avviso di coloro, sarebbe poco commendevole per la vostra immagine, oddio oddio oddio. In altra modalità, affermano di avervi registrati mentre stavate praticando ordinarie o straordinarie attività ludico-ginniche a prevalente assetto orizzontale e con facoltà di estensione delle attività medesime al versante riproduttivo-procreativo; il che, qualora dall’altra parte vi fosse davvero un interlocutore, dovrebbe indurvi soltanto a rispondere che per cose del genere pretendete una medaglia al merito, altro che ricatti. Di ricatto tentato e che spesso è andato a segno – non si spiegherebbe, in caso contrario, la reiterazione sistematica di questo metodo estorsivo – si fanno assertori e latori i tizi che da varie settimane a questa parte hanno ripreso a martellare le caselle “e-mail” di parte della Svizzera e del Ticino in misura particolare, messaggio persino banalotto (oh, ma in tedesco, stavolta: fa molto “Beate Uhse” e Reeperbahn amburghese quartiere Sankt Pauli), obiettivo il mettere a segno una truffa informatica che viene categorizzata quale “phishing” cioè lo sfilarvi informazioni e quattrini. Vecchia storia, solita storia.
Per evitare di far sapere alla cerchia delle vostre conoscenze quale sia la miglior vostra evidenza fra le premenzionate attività ludico-ginniche, ad esempio, gli aspiranti vessatori via InterNet chiedono che sia loro inviata una cifra convertita in Bitcoin, e non stiamo parlando di quattro cocomeri se è vero – così riferisce una nota di fonte Polcantonale – che le richieste ultime vanno dai 500 ai 7’000 franchi il colpo, e fatti vostri se non avete poi dimestichezza con le criptovalute sicché vi s’impone anche la fatica di andare alla ricerca di una soluzione tecnica. Pardon: vi s’impone un bel nulla, ché nel 100 per cento dei casi il mittente sta bluffando, ed il miglior riscontro di ciò sta nel fatto che nessuna prova (nemmeno in forma d’uno scatto o d’un “frame”) viene prodotta; ma anche se per delirio di ipotesi egli avesse qualcosa tra le mani, beh, si tratterebbe solo di pubblicità per voi e dunque dovreste semmai pretendere d’esser pagati. I consigli, a questa stregua, noti e riassunti in specchietto: se l’“e-mail” giunge senza sollecitazione alcuna, diffidare e cestinare; se le missive sono in lingua conosciuta o in atzeco o nel rongorongo degli antichi abitanti l’Isola di Pasqua ma hanno tenore truffaldino, diffidare e cestinare; se il mittente è uno sconosciuto che si qualifica con cinque lauree conseguite tra Nigeria e Regno Unito e magari fa il predicatore di una setta autocefala, diffidare e cestinare; se il logo infilato in testa alla lettera vi sa di patacca, diffidare e cestinare; se vi chiedono soldi, diffidare e cestinare; se vi scrivono pretendendo un’immediata vostra adesione alle richieste di denaro, minacciando l’azione legale ed il blocco dei vostri conti correnti e magari anche qualche disgrazia ai vostri familiari causa macumba sulla rampa di lancio, diffidare e cestinare. Valgono poi le solite altre raccomandazioni: al fine di evitare infezioni del vostro “personal computer” e pertanto l’insediamento di un cacciatore di notizie sensibili circa voi e le vostre attività, mai aprire “file” della cui natura non siate stracerti (ai gloriosi tempi del gloriosissimo Dos erano gli eseguibili con suffisso .exe, ad esempio; ora tutto finisce nel calderone delle “app” e dei “link”); e, per quanto la pratica possa risultare noiosa se svolta manualmente, aggiornare ripetutamente gli antivirus e le barriere antiintrusione.
Nulla di più, nulla di meno.