All’età di quasi 68 anni, che avrebbe compiuto fra tre settimane, è deceduto nelle scorse ore Donatello Poggi, già membro a più riprese del Legislativo cantonale, vicesindaco in carica a Giornico dove deteneva le competenze su ordine pubblico e sicurezza, servizi idrici, trasporti e comunicazioni. Ed è una perdita che intristisce, una perdita vera, perché depaupera il Ticino di uno disposto a spendersi, in politica, con il cuore costantemente oltre l’ostacolo e con un atteggiamento dalla totale trasparenza; privo di sovrastrutture e portato a respingere gli arzigogoli era infatti Donatello Poggi, che in questo si considerava connubio riuscito tra origini (in Toscana) e luogo di nascita e di “vocazione” (“Sono svizzero, penso svizzero”). Una perdita: non a caso, in un Ticino nel quale sino ad un paio di decenni addietro il mutar d’accento e di pensiero in politica era ancora oggetto di critica – dallo storcimento di labbra al giudizio sprezzante – persino quando a spostarsi in una direzione o nell’altra era non già la persona ma il partito, sicché uno si sarebbe trovato a dover difendere tesi che non gli erano proprie “perché così vuole la Direttiva”, ecco, persino in “quel” Ticino non vi fu nessuno che osasse contestare a Donatello Poggi il suo schierarsi con la Lega dei Ticinesi dopo essere stato segretario del Sindacato ferrovieri – in quell’àmbito la professione, da maestro artigiano alle “Officine Ffs” – e granconsigliere (maggio 1995-giugno 1998) con il “Partito lavoro e progressisti”.
Anche con la Lega, di cui egli divenne esponente istituzionale di nuovo in Gran Consiglio (maggio 2007-giugno 2011), il rapporto fu sussultorio: quadriennio, poi dissenso su una candidatura al Consiglio degli Stati (il nome di Sergio Morisoli quale sintesi di intenti con l’Unione democratica di Centro; operazione che, al tempo, non giunse peraltro a buon fine), e dal dissenso scaturirono le dimissioni. Ma la “vis politica”, in un modo o nell’altro, finiva per prevalere sulla “vis polemica”, e da qui il ritorno – da leghista – quale consigliere comunale a Biasca, salvo successivo rientro alla modalità da “indipendente”. In uscita dagli impegni nel Legislativo locale anche quale conseguenza di un trasferimento di domicilio a Cadenazzo, Donatello Poggi risalì poi nella valle stabilendosi a Giornico – suo borgo per nascita, tra l’altro – e qui accettando, nel gennaio 2017, di ripresentarsi sui banchi quale subentrante “su invito” per la “Lista civica Giornico” cui era venuta a mancare la forza propellente di Gianluca Falconi a sua volta alle prese con un cambiamento di domicilio; il posto era libero, a Donatello Poggi il posto fu offerto, ed egli portò un contributo. Anzi, due: in una tornata successiva, egli corse per il Municipio con altra compagine (“Giornico 2030”), e passò tra gli eletti. Un cerchio che si chiudeva, quello, essendo stato Donatello Poggi consigliere comunale a Giornico già all’età di 22 anni.
Abbiamo lasciato qualcosa per strada, eccome: a Biasca, fatte le somme, furono 17 gli anni di servizio da consigliere comunale e sei quelli da municipale. Poi: sul finire del millennio scorso, l’invenzione dell’“Onda”, movimento politico che seppe destare un certo interesse; nel 2015, un tentativo di riapprodo alle sponde del Gran Consiglio con il “Fronte degli indignati”, idea di massima il dare voce ai più deboli, Osvaldo De Maria l’altro nome in lizza, “per il Consiglio di Stato votate Claudio Zali”. Esperimenti ed esperienze, individuali nella concezione ed aggregative nelle intenzioni; pur nell’originalità del pensiero, Donatello Poggi non fu mai un lupo solitario. Giuliano Bignasca, che da “presidente a vita” della Lega dei Ticinesi non se ne dava per inteso se qualcuno preferiva imboccare altre strade dopo aver albergato in via Monte Boglia a Lugano, ad ogni “strappo” tentava di imbastire un’opera di ricucitura e di convincimento; “Questi toscani mi manderanno a Mendrisio”, sbottò una volta il “Nano”, avendo appena leticato al telefono con Donatello Poggi e trovandosi Rodolfo Pantani sulla porta dell’ufficio. Rodolfo Pantani il chiassese la metteva infatti sull’irruenza, Donatello Poggi il vallerano optava per il metodo, sua arma anche quando – marzo 2008 – si trattò di mettere in piedi la macchina dello sciopero alle “Officine Ffs” e, con essa, di costituire il Comitato di “Giù le mani”.
Di un lato della personalità dell’ora scomparso Donatello Poggi, purtroppo potendosi produrre qui solo la testimonianza orale (ma tracce spuntano anche da qualche opinione pubblicata sotto firma propria), qualcuno si sorprenderà: egli, considerandosi ateo, portava addosso l’inesauribile esigenza di Assoluto. Non era un cristiano smarrito, non era un soggetto nel dubbio, non era un agnostico possibilista; nella sera strana di una giornata convulsa, poche ore dopo che Andreas Meyer capintesta delle “Ferrovie federali svizzere” era calato su Biasca durante lo sciopero delle “Officine Ffs” ed avendo in tasca già compilata – si disse – la lista dei licenziamenti e c’era stato anche il “Lei qui non è persona gradita” pronunciato da Ivan Cozzaglio che di Biasca era anche vicesindaco e chi non c’era potrà almeno immaginare la tensione, Donatello Poggi si mise a parlare di Dio e del Cristo risorto. Così, quietamente, come di un argomento all’ordine del giorno. I fondamentali c’erano tutti; magari non fu quella un’esposizione teologicamente ortodossa, ma in certe sante Messe si erano udite omelie ben peggiori.