Avrebbe conquistato un posto di rilievo, nella percezione degli appassionati all’evento culturale in quanto concetto (e cioè al netto della sua declinazione e della sua modalità espressiva); nel contesto di un’annata culturale che per forza di cose rimarrà priva di molti capisaldi e di vari appuntamenti “consolidati”, sarà un punto di ripartenza e, allo stesso tempo, una proposta di valore assoluto. In uscita dall’estate ed a copertura sino all’intero periodo delle festività natalizie – interessante anche la collocazione temporale, dettata da accordi costruiti nel tempo con i responsabili di altri enti coinvolti – la mostra “Alexej Jawlensky e Marianne Werefkin. Compagni di vita”, occasione che sarà offerta negli ambienti del “Museo comunale d’arte moderna” in Ascona (via Borgo 34) quale indagine “documentata” – 100 le opere selezionate – sul rapporto fra i due artisti e sul loro apporto quali pionieri dell’Avanguardia nel ‘900; nella sostanza, oltre ad un viaggio nelle carriere di entrambi (Alexej Jawlensky visse tra il 1864 ed il 1941, Marianne Werefkin fra il 1860 ed il 1938), luce sarà portata verso gli aspetti di una complessa relazione privata, sulla convivenza tra San Pietroburgo e Monaco di Baviera (dal 1892; l’incontro tra i due è forse da retrodatarsi al 1891), sui passaggi che condurranno entrambi a far nascere la “Nuova associazione tra artisti” (1909) ed all’adesione al movimento del “Cavaliere azzurro” (1911: fu il secondo pilastro dell’Espressionismo tedesco, a fianco del “Ponte” formatosi sei anni prima a Dresda sotto la spinta di Hermann Obrist, e che al tempo del “Cavaliere azzurro” era peraltro in fase calante tanto da giungere all’epilogo già nel 1913); della sola Marianne Werefkin, ormai asconese per residenza e separatasi una volta per tutte da Alexej Jawlensky (non fu rose e fiori, la condivisione di tempi e di spazi, in quei 29 anni fra il 1892 ed il 1921), l’avvio dell’esperienza (1924) con il gruppo dell’“Orsa maggiore”.
All’alchimia tra i due artisti russi germanizzatisi era già stata dedicata una mostra a Monaco di Baviera (sede la “Galleria civica della Lenbachhaus” sulla Luisenstrasse) tra ottobre 2019 e febbraio 2020, sotto titolo “Anime gemelle” e per le cure di Roman Zieglgänsberger e di Annegret Hoberg. Ma negli spazi del “Museo d’arte moderna” di Ascona, tra domenica 20 settembre e domenica 10 gennaio 2021, varrà la pena di prestare attenzione alla chiave di lettura che la direttrice Mara Folini avrà voluto imporre: avantutto, perché questa è la terza ed ultima tappa di un itinerario tra Wiesbaden e Monaco di Baviera, ed un atto conclusivo abbisogna di accenti forti anche per tramite dell’allestimento; in seconda battuta, perché gli ultimi 14 anni della vita di Marianne Werefkin – quelli vissuti sulle sponde del Verbano – furono non meno importanti rispetto ai precedenti; in terza istanza, perché Marianne Werefkin fu artista, poi artista “interrotta” per decisione propria (un decennio senza pennelli, per sottostima delle proprie qualità e per autoaffermata volontà di operare quale promotrice di Alexej Jawlensky che in quel tempo ella letteralmente mitizzava), poi artista riscopertasi (prime tempere, guazzo, pastelli, carboncini, gessetti ed altro) e di nuovo produttiva, in verità fra un trauma emotivo e l’altro (il compagno aveva dedicato da tempo attenzioni alla 16enne Helena Nesnakomova, assunta quale collaboratrice familiare e divenuta familiarissima nel letto, come rivelò la nascita di un figlio – Andrej, poi meglio noto come Andreas – agli inizi del 1902; e poi fu lo stesso Alexej Jawlensky a voler prendere un’altra via in chiave artistica, in sostanza senza nemmen chiedere un parere). Parrà strano, in mezzo a questi e ad altri motivi di dissapore, il permanere di un dialogo intenso e che porterà questa singola forma di coppia a riunirsi in forma tipica del “living together apart”, a fuggire in Svizzera sui prodromi della Prima guerra mondiale (tappe: Saint-Prex nel Canton Vaud, 1914; Zurigo, 1917; Ascona, 1918), a fare la fame insieme e, tra mille conflitti interpersonali, a superare il periodo bellico; nel 1921 accadrà quel che si conosce, un “addio” brutale, Marianne ad Ascona ed Alexej – che, l’anno dopo, si sposerà con Helene Nesnakomova – a Wiesbaden.
Divisi per sempre? Divisi mai, verrebbe da rispondere: un po’ perché nell’artista con stimmate di originalità ogni substrato aiuta – nell’eventualità, anche per contraddizione e/o per rinuncia e/o per negazione – a far maturare nuove forme di manifestazione e di maturazione culturale (per tutti valga, in Marianne Werefkin, il riconciliarsi con il mondo); ed un po’ perché, con un salto quantico nella lettura dei messaggi lasciati dall’uno e dall’altro, la curatrice dell’evento asconese ha voluto giustapporre un terzo soggetto quale sigillo ideale al percorso. Il nome: Andrej “Andreas” Jawlensky, proprio il figlio di Alexej Jawlensky e della domestica Helena Nesnakomova, venuto alla luce nell’odierna Lettonia e destinato ad un’esistenza dall’incredibile intensità, densa di rischi, di sofferenze, di amori, di talento artistico (era prodigioso sin dall’età di cinque anni), di viaggi, di trasferimenti o voluti o forzati, di prigionia durissima e prolungata ben oltre la fine della Seconda guerra mondiale (il rientro a Wiesbaden dalla Russia ebbe luogo solo nel settembre 1955…) ed infine entrato ovvero tornato in Svizzera sulle notizie dell’invasione dell’Ungheria da parte dei militari dell’Armata rossa; sarebbe stato, quello, l’“incipit” di una nuova esistenza, Locarno il perno, dal 1974 anche quale cittadino svizzero.