A Mendrisio sta il suo archivio, su InterNet sta un sito concepito nel suo nome e che potrebbe fungere da modello e da impianto per ogni biografia commentata, tale è la sua articolazione (il metodo conta) e tale è la sua fruibilità (per linguaggio, almeno dallo studente delle scuole medie all’esperto d’arte). Per quale motivo, allora, Italo Valenti ha bisogno di un evento espositivo sul passo di quello in corso – sino a domenica 7 luglio – a “Casa Rusca” in Locarno? Per una dozzina di motivi, tra i quali si elencano senza ordine alcuno di priorità: 1) fu un italiano nato a Milano e che per oltre metà dell’esistenza visse in Svizzera, diventandone cittadino non per convenienza; 2) pochi hanno piena contezza della vastità dell’impegno professionale di Italo Valenti e della sua confidenza nel tratto; 3) comprendendo la figuira e l’opera di Italo Valenti, che in Ticino – ad Ascona, per la precisione – era giunto ad inizio Anni ’50 del secolo scorso, si ottiene una visione laterale del mondo degli “atelier” che era dirompente con i vari Remo Rossi, Jean Arp, Fritz Glamer, Ingeborg Lüscher ed Hans Richter, dicendosi degli ambienti più frequentati dallo stesso Italo Valenti.
Si aggiunga un quarto aspetto: l’esposizione curata da Veronica Provenzale ed accolta nel complesso settecentesco che dà su piazza Sant’Antonio è frutto di un atto di coraggio e di onestà intellettuale, cercandosi di stabilire le “corrispondenze” (del resto, tale è il titolo della mostra: “Corrispondenze. Italo Valenti ed i sodalizi artistici tra Vicenza e Locarno”) fra due tempi distinti in contesti geograficamente diversi e con attori che forse si sarebbero incontrati in modo occasionale, ma ben difficilmente avrebbero generato una coesistenza di lungo periodo, e men che mai una collaborazione, tali erano le distanze tra i due mondi. Distanze, al contrario, colmate ed annullate da Italo Valenti, in ciò un autentico eroe dell’arte presa, appresa, implementata con il proprio sentire ed infine vissuta e fatta vivere. Le “corrispondenze”, allora, chiedono uno sforzo al visitatore, meramente chiamato a colmare con il proprio “io” interrogato (dall’opera) le dissonanze che egli avverta o intuisca.
I lavori in mostra sono di Italo Valenti, Antonio Barolini, Bruno Canfori, Otello De Maria, Maurizio Girotto, Nerina Noro, Gastone Panciera, Neri Pozza; Jean Arp, Otto Bänninger, Max Bill, Julius Bissier, Anne De Montet, Fritz Glarner, Ingeborg Lüscher, Alberto Magnelli, Ben Nicholson, Hans Richter, Remo Rossi ed Aline Valangin. Appendice quale omaggio a Sergio Grandini, divulgatore culturale tra Ticino e resto del mondo e soggetto della cui nascita ricorre il centenario; non manca un flusso di memorie e di documenti sui laboratori generati da Remo Rossi. Visite dal martedì alla domenica, ore 10.00-16.30; chiusura il lunedì.