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L’editoriale / Make America Greta again. E Donald Trump trema, sicuro come l’oro

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In un mercoledì di flaccida cronaca internazionale (apertura dei tiggì serali italiani sul “caso Garlasco”, apertura del tiggì Rsi sull’infortunio toccato alla sciatrice Lara Gut; a proposito, auguri di valida e piena guarigione,,), un’increspatura di sorriso ha generato un papello – dire “notizia” ci pare iperbole iperbarica – peraltro giunto agli svizzeri per via di un’agenzia di stampa francese, il che si presterebbe ad una serie di considerazioni dalle quali ci asteniamo solo perché il cuore è pieno di letizia dopo l’accensione dell’albero di Natale a Lugano. Recita dunque, codesto papello, dell’esser fresche fresche pervenute al ministero pubblico della Confederazione non una non due ma ben tre denunzie penali contro ignoti, oggetto un elementuccio a corollario dell’incontro d’inizio novembre, a Washington, fra imprenditori elvetici in delegazione e Donald Trump presidente degli Stati Uniti; durante tale riunione i visitatori, presentatisi con l’ovvio obiettivo di agire laddove la politica d’impronta karinkellersutteriana era risultata fallimentare in materia di protezione da dazi strapunitivi, avevano portato alcuni omaggi tra cui un “Rolex” da tavolo ed un lingotto d’oro personalizzato. Già di per sé il concetto proprio delle denunzie induce al sorriso per inconsistenza, essendo profilata l’ipotesi della… corruzione di pubblici ufficiali stranieri ossia un illecito che ricadrebbe sotto le specie dell’articolo 322-septies del Codice penale; a destare superna perplessità si sovrappone il fatto che latrice di tale sollecitazione al ministero pubblico della Confederazione è stata la consigliera nazionale ticinese Greta Gysin, d’intesa con Raphaël Mahaim suo sodale di partito e di ramo parlamentare, ma in quota Canton Vaud. In forza del suo ufficio, e purtroppo, il ministero pubblico della Confederazione sarà tenuto a prendere atto della denuncia ed a formulare anche una risposta; e poi ci si lamenta dell’ingolfamento della giustizia.

Sia come sia, Greta Gysin ed il consocio si rassicurino: la loro azione autopromozionale andrà poco lontano, e giuridicamente sta dalle parti della neve infilata nel forno a microonde, sicché s’ha da preoccuparsi solo per la fuoriuscita di liquidi. A Raphaël Mahaim, cui è venuto l’uzzolo di affermare che “(…) sembra d’essere nel Medioevo (…)” avendosi (noi no, Raphaël Mahaim sì) “(…) l’impressione che ci siano signori che baciano le mani del monarca, al fine di ottenere da lui un favore, e ricoprendo (tale sovrano, ndr) letteralmente d’oro”, si raccomanda un ripasso generale sul periodo storico da lui abusato per àmbito e per contenuti. Ovviamente non sappiamo quali argomenti avrebbero portato e quali strumenti avrebbero utilizzato Greta Gysin e Raphaël Mahaim se, in forza di qualche assurda congiunzione astrale in contemporanea con un atto di belligeranza armata di San Marino contro la Santa Sede, essi fossero stati investiti del ruolo di negoziatori con Washington per conto di Berna; consta, per contro, che a conseguire risultati siano stati soggetti che, in contesto caratterizzato da elevata muscolarità, sanno parlare la stessa lingua dell’interlocutore, ed alla sua stessa velocità. Esattamente quel che serve ad una nazione che voglia farsi rispettare, checché provino ad articolare le animelle sensibili danzanti minuetti mentre attorno a loro s’affollano cicisbei d’onne sorta.

Nessuna reazione, al momento, da Donald Trump quale presunto corrotto dai suoi ospiti, e forse è meglio che nessuno gli dica nulla al proposito. Con tutti i soggetti di cui gli raccontano ogni giorno, c’è il rischio che al nome “Greta” la mente gli corra sùbito alla decadente (e decaduta) attivista Greta Thunberg, già al centro di sue non erronee valutazioni; e poi occhio, ché da quelle parti ci mettono due minuti per riportare i dazi dal 15 al 39 per cento, e magari a raddoppiarli…