Home CRONACA L’editoriale / “Conferenza di Lugano”, due giorni di sagome in cartonato

L’editoriale / “Conferenza di Lugano”, due giorni di sagome in cartonato

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Ieri con l’arrivo di una pletorica delegazione allo scalo di Lugano-Agno (per qualcuno, sorprendente la scoperta dell’esistenza di un primo ministro che si chiama Denys Anatolijovic Smihal: politicamente conta zero, ma egli resta un ottimo “apparatchik” secondo antica definizione sovietica), e stamane con l’appello formale del ridottissimo elenco di quelli che contano (per gli altri basta un segno di spunta sul foglio Excel), Lugano ed il Ticino sono entrati nel turbinio del nulla per la “due giorni” di un evento che sin dal titolo è negazione e messa in ridicolo di sé medesima: non che manchino precedenti del medesimo tenore (ne parlammo qui giorni addietro, memori di esperienza diretta – al tempo, sott’altra bandiera editoriale, altra ma dal pari tenore e dall’identica tensione ideale – ai tempi dell’occupazione militare dell’Afghanistan), ma induce al sorriso il mettersi soltanto a parlare di “ricostruzione dell’Ucraina” in un contesto bellico vieppiù animato, su scenario di pieno conflitto armato e stanti le quotidiane attestazioni del variare tutto ciò che è variabile. In breve: le macerie ci sono – da quattro mesi a questa parte, a misura crescente – ed altre purtroppo verranno, quindi avrà luogo una ricostruzione in qualche modo ed in qualche tempo e per mano di qualcuno, punto. Mancano tuttavia i postulati (inderogabili) per iniziare anche soltanto a parlare di “ricostruzione”; è come mandare ingegneri, architetti, operai ed apprendisti a spalar cemento su un “geyser”, nell’errata convinzione di poter domare gli elementi.

Fonti degne di disattenzione fissano attorno al migliaio gli ospiti che si proietteranno sul “Palacongressi” di Lugano. Trattandosi di ospiti, noi saremo ospitali, cortesi, corretti e cordiali, cioè come si impone a chi secondo tradizione offre i propri buoni uffici ed i propri buoni servigi per una causa superiore, vera o solo ipotizzata che sia. Diamo vitto, alloggio, trasporti, assistenza e trattamento a cinque stelle, senza sperequazioni, senza atti preferenziali; di più non si può né si deve chiedere, per quanto sia gravosa la sensazione secondo cui, a parere di molti tra i partecipanti (meglio: di coloro che hanno delegato l’impegno a terzi), tutto questo sia tempo perso, non possiamo non esserci per non sembrare quelli che chiudono gli occhi ma avremmo volentieri fatto a meno; e nell’interesse di Ignazio Cassis presidente della Confederazione si spera che egli non abbia puntato su questo evento per acquisire visibilità internazionale o per accreditarsi quale mentore di un progetto di pace, ché simile argomento è nato morto. La pletora degli“agit-prop”, per carità, si colloca su antipodico avviso affannandosi da settimane a sovrastimare la portata della “Conferenza”: è un suo diritto, in fondo i pubblicitari vendono elettrodomestici e nulla di meglio d’una “convention” vi è per lavarsi la coscienza, come si diranno i latori di qualche interesse; basta che a simile ammorbamento della realtà non si tenti di trascinare chi si occupa di informazione e della guerra in corso vede due cose soltanto, i morti ed i poveri cristi strappati ad una modesta ma viva quotidianità. Ci si lasci nella nostra miopia da cronisti che non sdottoreggiano e che non pongono il carro davanti ai buoi; se non si trattasse di espressione ben diffusa sui cartelli in luoghi pubblici dell’Italia e delle sue colonie durante il periodo fascista, verrebbe da dire che qui non si fanno né previsioni né discussioni di alta politica o di alta strategia, qui si lavora. E si lavora con quel che si ha: sabbia, polvere, informazioni sbriciolate, assenze più che presenze.

A Lugano non verranno capi di Stato, a Lugano non verranno i primi ministri e gli equipollenti dell’Europa occidentale: pare che tutti abbiano altri impegni in materia, e già non possiamo sostenere che sino ad ora Parigi e Berlino e Londra e Roma – ah, ma guarda: niente visita d’alto rango nemmeno dall’Italia – abbiano conseguito granché sul fronte diplomatico o almeno su quello assertivo, dal che si dubita circa l’improvvisa efficacia di un’eventuale azione che sia condotta tra oggi e domani. Pare, sembra, dicono, corre voce che per un salto in sponda di Ceresio siano in lista Petr Fiala (no, non uno dei vari hockeysti; guida il Governo ceco) e Mateusz Jakub Morawiecki (omologo di Petr Fiala per la Polonia) ed Ingrida Simonyte (idem, per la Lituania); nulla di confermato, e manca solo che venga opposta la manfrina dell’obbligo di riserbo. Il “jolly” nella manica di Ignazio Cassis sarebbe Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, o almeno così opina Ignazio Cassis; ma questa presenza costituirebbe semmai un motivo di imbarazzo in più, stanti le posizioni acritiche ed unilaterali assunte da Ursula von der Leyen circa la crisi russo-ucraina. Quanto di meno neutrale vi sia, ecco, e quanto di più inquinante ci possa essere per la neutralità svizzera della quale proprio Ignazio Cassis, con visione non elvetica, crede di aver saputo dare una nuova interpretazione.

Oh, dimenticavamo: a Lugano non viene Volodymyr Zelenskyj, capo dell’Ucraina, benché si parli di qualcosa che dovrebbe stargli a cuore (ma chissà quale enfasi verrà data al solito videomessaggio, forma di comunicazione che non ammette né repliche né osservazioni. Troppo facile); a Lugano non viene Vladimir Putin, capo delle Russie, e se è per quello da Mosca non viene nessuno (in via ufficiale; si spera che almeno a Castagnola o a Viganello compaia un funzionario, uno di numero, per tener su l’ambiente). Non vengono nemmeno da Pechino, e da Tokyo, e da Nuova Delhi, quelli che contano; qua e là avremo tracce di qualche segretario, di qualche viceministro, di qualche addetto. Altro che conferenza con il convitato di pietra: questa è la “due giorni” delle sagome in cartonato.