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L’editoriale / Aspettando Pietro II. Ed una Chiesa che torni ad essere cattolica

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Ad ogni morte di papa, ed assai di più stavolta per via soprattutto di aspetti sui quali non ci soffermeremo tanto essi sono stati sussurrati detti gridati urlati nelle ultime settimane ovvero approssimandosi e poi occorrendo il decesso di Jorge Mario Bergoglio, ad ogni morte di papa, dicevamo, una fetta del mondo si dichiara improvvisamente sensibile alle dinamiche di quanto avviene ai vertici della Chiesa cattolica universale. Negli ultimi 16 giorni abbiamo udito cose valide e cose meno valide, ricostruzioni storiche dall’indubbia attendibilità e discorsi semplicemente lunari ma che sono passati in tv, in radio, sulla carta stampata e nell’informazione “online” senza un dignitoso contraddittorio cioè senza che una lingua intervenisse, cortese ma ferma, a classificare come sciocchezze quelle che sciocchezze sono. Ad occupare la scena, e per buona sorte – noi ci vediamo il segno della Provvidenza divina – non a dominarla, i promotori di messaggi che così liofilizziamo: a) una Chiesa “aperta”, che “non si fermi”, che “vada oltre”, che porti a compimento l’opera di papa Francesco; b) il papa è tipologicamente un “leader”, sicché attitudini da “leader” dovrà avere il prossimo pontefice; c) tutti in costante bagno di umiltà, con orientamento a definire l’umiltà quale criterio ancorato a rinuncia e debolezza; d) i cardinali sono divisi tra progressisti e conservatori, per fortuna i conservatori sono tutti anziani ed avranno sempre meno voce in capitolo; e) in qualche modo anche con riferimento al precedente punto (c), ormai l’Europa è scristianizzata e pertanto in altri luoghi sono da ricercarsi i pilastri su cui sorreggere la Chiesa; f) siamo in un momento cruciale, il successore di Francesco sarà in grado di interpretare l’“esprit du temps”?

Rispondiamo. Alcune fra le istanze così formulate hanno un pregio: sono talmente stupide da annullarsi da sé, o perché effigiano con impronta fotografica l’ignoranza dei proponenti o perché il colpo arriva su un bersaglio inesistente. Per mero atto di cortesia faremo notare che si tratta di “portare a casa” non già un successore di papa Francesco, ma il vicario di Cristo; ispirandoci a don Sandro Vitalini, che ci lasciò cinque anni or sono e che fu probabilmente il miglior teologo cristiano contemporaneo nella Svizzera di lingua italiana (ecco, sullo stesso piano del vivente don Arturo Cattaneo; corsa a parte fa don Claudio Mottini; nessun altro si senta offeso), aggiungeremo che la Chiesa è stata ad un bivio – a volte, anche con sé stessa, nei tempi degli antipapi e nell’ora degli scismi – in ogni giorno della sua esistenza bimillenaria, e ci mancherebbe altro che ci si conformi all’“esprit du temps”. Merita invece attenzione una fra le tesi esposte, sempre che s’abbia voglia di ribaltarla da affermazione a domanda confutatoria: giusto l’andare alla ricerca ed alla conoscenza di fonti nuove nel mondo della fede espressa, tanto di più per quelle parti del mondo in cui l’avere un credo è motivo sufficiente per l’essere perseguitati e mandati al Creatore, ma davvero per l’Europa cristiana non ci sarebbe più nulla da farsi? Davvero? Di ciò sono convinti anche vari sacerdoti in Ticino (colta al volto mesi addietro: “Siamo destinati a ridurci a piccole unità”, parola di giovane parroco); qualcosa del genere, andandosi a memoria, era emerso anche fra le pagine d’un presule. Peccato, per loro, che sia un’idiozia.

Nella Chiesa depauperata dalla crescente disaffezione dei partecipanti alle liturgie eucaristiche, nella Chiesa scardinata dagli scandali causati da suoi membri (ed in questo lembo di Elvezia stiamo attraversando una tempesta che crivella l’anima), nella Chiesa messa a bersaglio da attacchi di fuoco amico prima che di oppositori tradizionali (e legittimi, certo; legittimi), in questa Chiesa non si può non percepire un’atmosfera di sconfitta sul campo: con un paradosso in fisica, si potrebbe sostenere che non resta il solo involucro ma che il contenitore è stato svuotato. Ora, in presenza di una sconfitta, due sono le possibilità: o ci si arrende, ancorandosi a quella malintesa forma di umiltà di cui si disse, o si sorride, esatto, si sorride e si riconosce una forma di felicità. Deve esserci una felicità, nella sconfitta, credendosi nella felicità del ricominciare tutto daccapo. Opera immensa, no? Opera fantastica, dalle proporzioni ciclopiche, ma anche l’unica dimensione in cui la Chiesa cattolica universale può proiettarsi. Ne disse, fino ad una ventina d’anni addietro, un sacerdote brianzolo che si chiamava don Luigi Giussani. Se l’istituzione si allontana dall’uomo, all’uomo è da proporsi non una dottrina, ma il fatto in sé, affermandosi che si è cristiani perché il Cristo conferisce un senso alla vita della singola persona e non perché, con formula persino troppo comoda, diciamo di credere in Gesù.

In quello, in quell’esperienza, sta l’oggi della Chiesa che s’appresta a ripartire con un nuovo pontefice. Una Chiesa capace di essere di nuovo cattolica; e, se il nome che l’eletto sceglie è espressione dei suoi intendimenti, di meglio non potremmo trovare che l’ambizioso, coraggioso, travolgente Pietro II. Magari con un europeo dal profondo Nord dell’Europa, ma nato qui tra di noi, e che un cognome (è un caso, eppure ce lo rende simpatico) che sa di laghi nostrani, e con un nome che propone l’etwas Anders, e che fu di fede riformata sino a poco dopo la maggiore età, e che scelse di farsi cattolico, e che dell’unità dei cristiani è assertore con competenza rara, e meglio, con competenza unica. Extra omnes, e che sia fatto entrare…