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Il caso / Arroganza romana: «Abbiamo il virus, voi svizzeri tenetevi gli asilanti»

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Sulla gestione del “caso Coronavirus” in Italia, un giorno, aspettiamoci la pubblicazione di qualche inchiesta-verità e di almeno un paio di volumi: c’è materiale per narrativa e per saggistica, c’è di che dilagare su “instant book” e su approfondimenti enciclopedici, tra errori di regìa (ma il primo, imperdonabile, venne dai vertici dell’“Organizzazione mondiale della sanità”, quand’essi classificarono come “moderato” il rischio di epidemia) ed atti coraggiosi (indiscutibili le intuizioni di Attilio Fontana e di Luca Ceriscioli, presidenti della Regione Lombardia e della Regione Marche rispettivamente e per dire di due soggetti su opposto schieramento politico, rispetto alla presidenza del Consiglio). Un suggerimento al futuro o ai futuri estensori di tale opera analitica o riepilogativa: si trovi lo spazio per una bestialità uscita oggi da Roma ed imposta “tout court” alla Svizzera, giacché con effetto immediato non ha più luogo la riammissione sull’asse Svizzera-Italia per quanto riguarda i richiedenti l’asilo la cui istanza, in forza dei cosiddetti “Accordi di Dublino”, è da affrontarsi a cura delle autorità tricolori.

Niente riammissione, è d’obbligo il precisare, significa che viene a decadere tutto quanto venne faticosamente messo nero su bianco, stabilito, fissato, parafato, firmato o ratificato; e significa che a Roma, dove già hanno problemi non dappoco nell’intendersi con gli amministratori di varie realtà territoriali, si sono presi la libertà di inviare una semplice notifica alla Segreteria di Stato della migrazione. Notifica, due righe nemmen troppo cortesi e che suonano alla stregua del canonico “Fermate tutto, così abbiamo deciso”. Annullati ad esempio, e si resta alla cronaca spicciola, i voli già prenotati per i prossimi giorni, tanto che è stato bloccato un gruppo di 10 persone la cui partenza era imminente (per loro, permanenza prolungata nei centri d’asilo della Confederazione o nelle strutture di competenza cantonale). La tesi espressa: “Dobbiamo sospendere il rientro a causa dell’espandersi dell’epidemia da “Coronavirus”, ergo niente presa in carico sino a nuova indicazione” che, a questa stregua, sarà per forza di cose unilaterale.

Premessa l’evidenza del non avere il “Coronavirus” nulla a che vedere con un’operazione tecnicamente dovuta con assunzione di responsabilità, e per di più rilevandosi lo scarico di un impegno assunto al netto di qualsiasi altra condizione, la domanda: è una scusa per non fare quel che è da farsi, o semplicemente un trucco per evitare di fare quel che è da farsi, con il che si capisce che le due cose coincidono?