All’ultimo giro di lancette, stasera, il Lugano era spacciato: già sotto per 0-2 nella serie di “play-out” dell’hockey di National league contro l’Ajoie, bianconeri sullo 0-1 (di nuovo a domicilio, di nuovo davanti all’atterrito pubblico della “Resega” di Porza) e ridotti alla disperazione, un’altra sconfitta ormai incombente ed in un ciclo al meglio di sette partite non molti possono dire di essere risaliti dallo scarto di tre “kappaò” di fila. Poi, con il sesto di movimento sul ghiaccio, un miracolo a risalire da lago in lago, dal Lario al Ceresio, nella persona e nel volto di Giovanni Morini che la stagione 2024-2025 ha praticamente perso per intiero causa frattura di un femore e lenta convalescenza: 30 secondi per cambiare la storia personale e forse per passare alla storia come il salvatore della patria, se non sua per passaporto, sua almeno quale insubre e fedelissimo ai colori luganesi. Minuto 59.02, l’assist è di Radim Zohorna e Giovanni Morini ci prova per la prima volta nella partita e mette in gabbia, riequilibrando le sorti del confronto sull’1-1 a pareggio del goal di Philip-Michael Devos in chiusura di un “power-play” (22.42); successiva attribuzione dirà che la titolarità del goal spetta proprio a Radim Zohorna ed anzi Giovanni Morini non figura nemmen più nel tabellino, ma poco cambia. Si va al supplementare, pensano tutti; ed invece no, Giovanni Morini resta sul ghiaccio e tenta ancora, seconda conclusione personale, qui sul passaggio di Jesper Peltonen; sono trascorsi esattamente quei 30 secondi in una presenza effettiva che risulterà pari ad 11 minuti e 29, ecco, fate che quei 29 diventano leggenda, ad intervallo tra la prima e la seconda rete, ed al comascone quest’ultima nessuno toglierà.
Perché sì, sveliamo ora il mistero: il Lugano, da cadavere che era, è stato almeno rianimato; il Lugano, grazie ad un micragnoso eppure miracolistico 2-1, è in qualche modo tornato in corsa; il Lugano avrà insomma modo di tentare di andare a prendersi una vittoria a Porrentruy, “condicio sine qua non” per puntare alla salvezza diretta (sì, certo, esiste la porticina di emergenza del “barrage”, sempre che nella finale della cadetteria le cose vadano in un certo modo. Argomenti buoni per domani o per doman l’altro, semmai). E il sospirone per un successo rimasto ad ogni modo privo di fondamento è doppio: stai a vedere che qualcosa va bene pur se la squadra continua a non girare, pur se la conduzione dalla panchina è avvolta nella nebbia, pur se alcune scelte tecniche rimangono incomprensibili, pur se et cetera. Tra gli “et cetera” figurano anche i nervi troppo tesi: stavolta in penalità di partita è incorso Mirco Müller, tra l’altro al 41.23 cioè quando ormai le cose si stavano facendo spesse; non è il modo di lasciare i compagni in ambasce, per dire. Troverà poi modo, Uwe Gerd Krupp allenatore, di sostenere che proprio l’aver superato quel lungo periodo di inferiorità numerica è stato alla base della rimonta e del sorpasso; ma per carità, è soltanto andata di lusso, tre centimetri più in là e tutto sarebbe finito nell’ignominia.
Non siamo qui, almeno, a salmodiare il “De profundis”. Già un miracolo.