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Filo di nota / Nel frattempo, magari estirpare con i vecchi metodi?

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Due nuove tecniche di trattamento delle neofite invasive, che sono poi piante alloctone cioè giunte da lontano e di fatto dall’Estremo oriente in senso lato, furono presentate l’altr’ieri nella zona delle Bolle di Magadino a cura dei responsabili del Dipartimento cantonale territorio e con dispiegamento – così apprendiamo da comunicato ufficiale – degli “alti funzionari della Divisione ambiente, dell’Ufficio natura-paesaggio e del Centro di manutenzione stradale di Bellinzona del Dipartimento del territorio, dell’Ufficio consulenza agricola e del Servizio fitosanitario, della “Fondazione Bolle di Magadino” e dei servizi della Città di Lugano” (in pratica, più funzionari e addetti che radici delle varie “Reynoutriae” insinuatesi nelle nostre zone protette). Nessun dubbio circa la validità di entrambi i metodi proposti, l’uno da vero e proprio “elettroshock” (si tratta di sparare flussi di corrente elettrica fra i 3’000 ed i 5’000 Volt nella materia vegetale, in modo da “friggere” i tessuti cellulari. Fa un po’ impressione, sì) e l’altro con bonifica in vagliatura (frantumi setacci tratti bonifichi il terreno, ad esempio in caso di grandi scavi). E tuttavia: passata la fase acuta da Covid-19, quando alla sospensione delle attività umane corrispose una maggior diffusione delle neofite invasive e giusto qui ne parlammo, non sarebbe il caso di far procedere – e rapidamente – allo sfalcio delle piante ed alla rimozione dei rizomi nelle aree tuttora largamente presidiate da tali piante, disponendosi tra l’altro di non scarso e di non impreparato personale? Disponiamo di rilevazioni a dimensioni di centinaia di metri quadrati, qua e là, nel Sopraceneri soprattutto; per non sbagliare e per andare a colpo sicuro, dalla foce della Maggia in quel di Locarno, tra l’altro a distanza di quattro passi da tutto ciò che è stato ben sistemato e messi pulitin pulitino davanti agli occhi dei cittadini…