Aula granconsiliare a Bellinzona, ieri pomeriggio. Nel dibattito irrompe la vicenda del 59enne ex-alto funzionario pubblico che, operando in seno al Dipartimento cantonale sanità-socialità con ruolo rilevantissimo nel rapporto con i giovani, tenne comportamenti riprovevoli con più d’un soggetto e qualche settimana fa venne condannato per coazione sessuale (ma potrebbe cascarci addosso anche il ricorso, pensate un po’ voi). Quattro le notizie: a) il tizio, benché messo alla porta dal datore di lavoro ben prima della sentenza, continua a percepire lo stipendio (eh, i tempi di disdetta…); b) Claudio Zali consigliere di Stato conferma di dover aspettare sia la pubblicazione della sentenza sia l’esito di alcuni accertamenti di carattere amministrativo; c) si profila la richiesta di una commissione d’inchiesta; d) in pieno dibattito, per voce di un parlamentare, sono stati fatti nome e cognome del funzionario medesimo. Ops: sono quel nome e quel cognome che, per acquisizione da sede giudiziaria (cioè dal processo), i giornalisti non possono pubblicare. Ma ora che l’evidenza è uscita da una sede politica, e tra l’altro a libero accesso financo per il privato cittadino che non a caso ha diritto di assistere alle sedute del Legislativo cantonale, come la mettiamo con un’identità che tanti già conoscevano e che ora è timbrata agli atti in voce ed in video?