Ha incarnato la cifra del giornalismo in cui si costruiva la pagina mattone su mattone, sempre dietro all’angolo il rischio di dover ribaltare un’architettura ben consolidata anche nei termini dell’estetica. È stato un capo che conferiva autonomia, che dava fiducia, che insegnava a far sbollire l’incazzatura nello spazio di 30 secondi (“Non uno di più, perché non puoi permetterti di buttar via il tempo tuo e di altri; non uno di meno, perché in caso contrario non si capisce che è un’incazzatura”); soprattutto, uno di quelli che non ti fregano e che non si appropriano la notizia. Aveva l’etica dalla sua e quindi annusava un dissolversi quotidiano dell’etica attorno a lui, il collega Ezio Motterle, venuto a mancare nelle scorse ore per la recrudescenza di un male da cui era stato aggredito; dopo prima esperienza al “Giornale di Varese”, per decenni egli fu l’uomo-tutto delle pagine del “Giorno” da Varese, come corrispondente e come titolare delle pagine di un territorio composito e del quale egli tra i primi comprese ed interpretò le relazioni “extra moenia”, da e verso il Canton Ticino in particolare. Non in città ma al pianterreno di casa sua, vicino ad un cavalcavia di Gazzada-Schianno, la redazione; dalla primavera 1984, ogni sera attorno alle ore 20.00, il giro delle telefonate tra i collaboratori stanziali – due, all’inizio: Maurizio Lucchi che visse poi per un quarto di secolo all’“Ansa” e che divenne infine direttore responsabile della “Prealpina”, ed uno dall’indiscutibile attitudine alla carognaggine – cui altri si aggiunsero o subentrarono via via, per la definizione del “menabò” a blocchi, lo sport andava via di massima a due pezzi da 30 e due pezzi da 20 righe per pagina, bel problema il trovare qualcosa di originale per il nord della provincia; poi al “Giorno” fu conferita una redazione con uffici veri e nel posto migliore che un cronista di giudiziaria possa desiderare, “vis-à-vis” con il Tribunale, e sopra uno dei bar frequentati dagli avvocati. E da lì Ezio signoreggiava; quei locali, al tempo della “Tangentopoli” da cui anche Varese fu colpita nelle opere vive, divennero anzi punto di appoggio per inviati giunti da ogni dove. Con molti, il rispetto della colleganza; con pochi, invece, l’amicizia; una, inossidabile, con Gianni Spartà che era colonna della giudiziaria alla “Prealpina”, e tra nera e processuale la cronaca fioccava, da quelle parti.
Questo l’Ezio Motterle della professione: secondo i differenti livelli di confidenza, Ezio ovvero “l’Austriaco” (questione di ascendenze, il cognome in adattamento da “Mütterl”, “Sta per mamma in forma affettuosa”, gente scesa dal Tirolo almeno sul Vicentino fra città ed Altopiano), Ezio ovvero “Il Grande bonzo” (in redazione egli letteralmente riceveva da sovrano), Ezio ovvero “il Castorone” (appellativo datogli da Roberto “Bobo” Maroni, cofondatore della Lega lombarda e più volte ministro); Ezio ovvero “Jean-Jacques Gotterle” (“nom de plume” usato ad inizio Anni ’80 negli editoriali sul “Nuovo ideale”, che era periodico dal non scarso interesse per quanti volessero cogliere il vento della politica tra capoluogo e provincia). A fianco, a fianco e non poi, c’era l’Ezio Motterle dell’amicizia: aneddoti e storie, racconti di vicende curiose – folli, forse, agli occhi dei giornalisti culidipietra scaldasedie – come certi appostamenti davanti al carcere dei “Miogni” in attesa dell’uscita di un inquirente che passando facesse il cenno d’intesa predeterminato, sguardo a sinistra voleva dire che l’arrestato aveva reso piena confessione, sguardo a destra significava che la pista non aveva portato ancora a nulla. Centrale, sempre ed in ogni caso, il nucleo della famiglia: Marilena, la moglie, che prendeva spesso – e di più – le chiamate quando la redazione era ancora nella prima sede; Clizia e Filippo, i figli, visti sin da neonati. Tante le abitudini: cascasse il mondo, per dire, a metà luglio in Francia il ciclo delle vacanze.
Da pensionato, Ezio Motterle rimase fedele alla professione con un’esperienza alla varesina “Radio Missione francescana”, curando la rassegna-stampa in voce, una volta la settimana. Cronista sino all’ultimo giorno dei suoi 68 anni, ed anzi: cronista di sicuro anche ora, direttore responsabile il Padreterno.