Svuotato. Non della fede e non della tensione ideale, ché anzi proprio fede e tensione ideale sono state sue consigliere nel percorso verso la più difficile delle decisioni; svuotato delle energie, invece, e forse e senza forse non più sorretto da quella piena salute che serve nell’esercizio del ministero laddove per forza di cose esso si estenda oltre l’ordinario. Di questo piccolo e per nulla sporco segreto, sul mezzogiorno, ci rese partecipi Valerio-Uno-Di-Noi, Valerio vescovo, Valerio cognominato Lazzeri e da ora sempre Valerio, non più Valerio vescovo in conduzione del popolo cattolico del Ticino ma Valerio vescovo emerito: sul passo dei suoi 59 anni, che sono pochi e tanti secondo quel che ti càpita di vivere o di dover vivere, oggi la rinuncia formale al soglio vescovile. Quale amministratore apostolico, soggetto in ruolo “pro tempore” ovvero nell’attesa della chiamata di un nuovo vescovo titolare, avremo monsignor Alain de Raemy, sino ad ora nel ruolo di ausiliare per la Diocesi di Losanna-Ginevra-Friborgo, iberico per nascita e d’origine friborghese, ai tempi cappellano delle Guardie svizzere, di quattr’anni più vecchio rispetto all’uscente. Prima che ci si lanci e che ci si produca nell’inevitabile “totovescovo” (quanti i nomi già circolati, quanti…), occhio: quella di Alain de Raemy potrebb’essere una permanenza di non breve durata.
Delle intenzioni di monsignor Valerio Lazzeri in funzione di una rinuncia, notizia esplosa sul fine-settimana quand’essa è stata fatta filtrare (in questo senso i casi non esistono), si era avuto sentore già ad ottobre dello scorso anno; e già in ritardo, se è vero come è vero che una volontà in tal senso aveva preso piede già due anni or sono, anzi, di più. Si era tuttavia ai prodromi della crisi pandemica, di qualcosa che portò lutti e comportò anche un’alterazione drammatica nei riti e nell’espressione della fede: azzerate le liturgie eucaristiche in presenza, navigazione a vista, perdite anche nel clero, orizzonte senza luce se non quella della speranza che è certezza del Qualcosa-Che-Avverrà, tesi ed espressione ben prossime al pensiero di Valerio vescovo per quanto vessillifero sia stato il predecessore Eugenio Corecco, fulcro della storia d’una Chiesa ticinese capace di legarsi a doppio filo alla contemporaneità ma con il vigore dell’affermazione. Si era ai prodromi della crisi pandemica, ed un’uscita di scena – per quanto legittima anche allora – sarebbe parsa non dissimile a quel che Dante Alighieri imputò a Celestino V. Trattasi come e qualmente di un “gran rifiuto”, certo; qui, ed invero nemmeno là come gli storici ora tendono a riconoscere, non per viltade.
Di quanto sia accaduto nei nove anni della presenza di monsignor Valerio Lazzeri quale vescovo si sta già discutendo a motori caldi ed ancor di più si parlerà nel prosieguo. Un merito, avantutto: l’aver cercato di riannodare il rapporto con quel mondo di non praticanti abituali – i “lapsed catholic” – la cui assenza dalle funzioni e dai sacramenti è segno più di stanchezza che di disinteresse; operazione non riuscita, ma non per questo non destinata a riuscire, essendo l’esito rilevabile sulla cesura di una generazione. Si dirà, ovviamente, che egli esce di scena – e Roma papale papale ha confermato – lasciando sulla scrivania molti “dossier” aperti ed irrisolti: le piaghe di un clero nel quale si sono insinuati comportamenti aberranti, per esempio. Vero è però che dal vescovo Valerio partì quell’azione di invito a raccontare, a non esitare nel raccontare, a far dunque emergere gli episodi di prevaricazione vissuti e subiti, e con un immediato apporto di figure professionalmente deputate all’ascolto; chi entri in una chiesa troverà tuttora quei volantini ben esposti e, nella loro semplicità, già latori della richiesta di perdono. Perdono ha peraltro chiesto Valerio Lazzeri nel momento in cui oggi, con una voce che quasi non gli si riconosceva, ha chiuso una parentesi da cui la sua esistenza è stata arricchita ma anche – e lo si era intuito – drammaticamente condizionata; perdono perché me ne vado, pensate un po’, anziché rimanere come potrei ma rilevando in me una crescente inadeguatezza a tutto ciò che sta dentro l’essere vescovo oggi. E tanti altri sono di sicuro i fascicoli affrontati ma sul cui frontespizio non sta scritta la parola “Evaso”: lo si sappia, ci sono cose che puoi credere di aver concluso e che invece si rimanifesteranno già un minuto dopo, sott’altra specie, magari, ma quelle sono.
Ora, ora cioè dal mezzogiorno di oggi, tutto si configura nel tempo. Tempo: di esso avrebbe bisogno, per prendere le misure della realtà a lui affidata, un amministratore apostolico; monsignor Alain de Raemy sappia che, purtroppo, questo tempo egli non avrà. Tempo: di esso avrà bisogno, per affrontare un domani di riflessione e di studio e di preghiera e di quel che gli sarà riservato, un presule uscente; monsignor Valerio Lazzeri sa che, purtroppo, tutto il domani è “in mente Dei”. Coraggio, Valerio-Uno-Di-Noi: non passa lontano da te l’amaro calice, ma questa tua esperienza ti rende ancor più autentico, ancor più vivo, ancor più persona umana.