Home POLITICA Consiglio federale, rielezione a blocco. Beat Jans l’erede di Alain Berset

Consiglio federale, rielezione a blocco. Beat Jans l’erede di Alain Berset

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Cinque ore ad assemblea in ragunanza compatta (246 presenti su 246 aventi diritto) bastarono stamane per chiudere il sipario su cinque mesi di teatrino della rielezione del Consiglio federale: almeno in questo, lo si ammetta, la Svizzera sa essere ancora Svizzera, cospicuo esempio di pragmatismo e poi passare ad altro, figurarsi se si ha voglia di sprecare tempo e fiato per un’operazione in cui gli interessi in gioco erano non globali ma di quel “particulare” espresso dai tempi di re Salomone e mirabilmente declinato in Niccolò di Bernardo dei Machiavelli. E difatti è finita con sei rieletti su sei, chi con responso tendente al plebiscitario (l’udicino Guy Parmelin, primo a sottoporsi all’ordalia, capace di timbrare in uscita a 215 schede su 233 valide, appena una tacca sotto il “record” della neocentrista ovvero già pipidina Viola Amherd che stampò quota 218 al tempo della rielezione nel 2019 ed oggi chiuse a 201 su 228) e chi navigando timoroso tra scogli affioranti e correnti avverse (demoralizzante il 151 su 216, più 28 bianche e due nulle, della socialista Elisabeth Baume-Schneider). Del settimo ed unico novello sposo per Confederella, ché era da surrogarsi il socialista Alain Berset annunziatosi dimissionario in giugno, si dice provvisoriamente ora citando il nome di un omologo per fede politica, al secolo il basilese Beat Jans – toh, un renano nella stanza dei bottoni dopo 50 anni… – quale subentrato a pezzi e bocconi; tema buono per il prossimo paragrafo. Qui invece mettiamo un punto fermo per due altri (l’udicino Albert Rösti, 189 su 217, e la liberal-radicale Karin Keller-Sutter, 176 su 224); più che votazione, una di quelle ratifiche che nel mondo ideale si esprimono per alzata di mano, chi è d’accordo chi no okay promossi, facile. E promosso facile, ben oltre le attese per quanto riguarda il consenso (167 schede, sufficiente il primo turno come per tutti gli altri che si ripresentavano), è andato via anche il liberal-radicale ticinese Ignazio Cassis, discutibilissimo su una quantità di scelte compiute e di orientamenti espressi sino ad ora ma qui in discussione perché considerato il più debole – traduzione di “debolezza”: o mettiamo questo nel mirino o non scardineremo mai la scatola della formula magica – e non per quel che fa o per quel che è (nella foto, Beat Jans).

Una sparata velleitaria – Datasi la premessa di una non belligeranza dei neocentristi contro i liberal-radicali (per un oltrevirgola percentuale era stata ventilata ed accarezzata l’ipotesi di mettere in discussione il rapporto numerico, da due Prd e un neocentrista ad un Prd e due neocentristi; mero colpo a salve, a mo’ di avvertimento), a rendere non ordinaria la quadriennale tornata di verifica dell’Esecutivo era stata infatti la pretesa di un seggio da parte dei “Verdi-Verdi”, che così indichiamo per distinguerli dai “Verdi liberali”: che alle ultime Federali, per il rigor dei numeri, sono dimagriti in modo pericoloso, o forse si sono soltanto riavvicinati ad una dimensione fisiologica dopo l’eccesso bulimico manifestato nel 2019, eppure hanno fatto fuoco e fiamme per pretendere che dal “due più due più due più uno” si passasse al “due più due più uno più uno più uno”. Il nome, speso e celebrato anzitempo: Gerhard Andrey, 47enne friborghese di Val-de-Charmey, tipo alla mano, si apprezza; candidatura tuttavia morta prima ancora che la macchina degli “agit-prop” riuscisse a metterla sui binari, da tutti parole di elogio sulla persona in sé, dai soli “Verdi liberali” una mezza disponibilità a lasciar campo libero nel voto, ben altro sarebbe servito. Una volta annusata l’aria, cioè una volta intuito e compreso l’andazzo, per strategia non dettata dalla pancia i vertici dei “Verdi-Verdi” avrebbero avuto modo di cavarsela con eleganza, chiedendo per esempio a Gerhard Andrey di prendere brevemente la parola per dichiarare che grazie, so di avere amici in quest’aula, non sempre le migliori idee godono dell’immediato pieno consenso, vorrei avere il tempo di spiegarvi quante e quali novità sarei in grado di portare ma sino ad ora ho percepito una volontà di tutela dello “status quo”, e io non sono carne da macello; morale, mi ritiro dalla competizione cui peraltro non ho espressamente chiesto di partecipare, e confido nella futura opportunità di dialogo con ciascuno tra i consiglieri federali per quanto riguarda le istanza che considero prioritarie e non differibili. Prevalse invece la tentazione della risposta di pancia, in campo aperto e contiamoci, chi non è con noi – elettricità sprizzante soprattutto verso i banchi socialisti: compagni, allora, dove è il vostro coraggio? – è contro di noi, un azzardo affidato al segreto delle urne sull’onda del “Non succede ma se per caso succede…”; morale, votate e fate votare per Gerhard Andrey. Totale: 59, 108 in meno rispetto ad Ignazio Cassis. Ci sarà anche un’episodica ed epiteliale sortita, e dal sentore di mera ripicca, con 23 consensi rimediati in coincidenza con la rielezione della socialista Elisabeth Baume-Schneider; robetta.

Sinistrati “suapte manu” – Se a Sinistra uno si irrita con qualcun altro che dice di parlare in nome della Sinistra, chissà come mai, a volte cioè sempre iniziano a volare parole da editto di proscrizione e minacce ascose ma nemmen troppo velate; e pare infatti che ripercussioni e conseguenze sul rapporto tra socialisti e “Verdi-Verdi” giungeranno, forse un giorno, forse l’altro, dove non so ma un giorno ti rivedrò. Mancata infatti la disponibilità dei socialisti a far quadrato attorno alla proposta di Gerhard Andrey, un po’ di tutto avvenne al momento di dar strada al novello consigliere federale: Beat Jans basilese e Jon Pult grigionese erano nel “ticket” socialista, eleggete o l’uno o l’altro e fileremo tutti d’amore e d’accordo; si fossero pure rimaterializzate le buonanime d’un Pierre Aubert padre del socialismo elvetico e d’un René Felber, no, quelli erano i nomi e da quelli nessuno avrebbe dovuto staccarsi. Eggià: primo turno, maggioranza richiesta pari a 122 schede, ecco Beat Jans davanti con 89 e Jon Pult… ops, Jon Pult solo terzo con 49; nel mezzo, Daniel Jositsch, 58enne zurighese, due legislature al Nazionale e due agli Stati, 63 consensi. Ed ora: in caso di mancata elezione secca di Tizio o di Caio, non dovrebbe servire, il primo turno, a sfrondare la pattuglia dei candidabili o a far riflettere su altri nomi? Macché: s’irritarono subitaneamente le eminenze rosse e rossigne, insomma, e che cos’è questa storia, abbiamo detto “ticket”, come fanno lorsignori a non capire, e che diamine, è questione di rispetto, bisogna tutelare la stabilità dell’istituzione, no? Immaginarsi le risatine, da scanno a scanno, dietro ad impassibili facce da poker; sicché al turno numero due, anziché 63, su Daniel Jositsch andarono a convergere 70 voti, sempre piazza d’onore, Beat Jans battistrada ma non eletto a 112, Jon Pult a 54. Volti impietriti ed extrasistole rombanti, terza tornata senza più inserimenti oltre ai tre: un cenno, Beat Jans a 134 contro maggioranza assoluta a 123, eletto. Jon Pult, l’altro del “ticket”, inchiodato come un relitto sullo scoglio – non difetta di “humouir”, Jon Pult, e dunque non se la prenderà per la metafora – a soli 43 consensi. Daniel Jositsch, invece, 68, e tanti saluti alla furente Samira Marti capogruppo socialista.

Donne al volante, Governo costante – Rituale l’elezione di presidente e vicepresidente per l’anno 2024: Viola Amherd per la cabina di regìa, 158 voti su 204 schede valide; Karin Keller-Sutter sua scudiera, 138 voti su 196 schede valide. Non cifre da trionfo, ma capirete anche il clima, al momento.

Cancelliere, si presenti – Supplementari di votazione s’ebbero infine a cagion del doversi trovare colui che raccogliesse l’eredità di Walter Thurnherr cancelliere della Confederazione, neocentrista per sponsorizzazione, sette anni dei suoi 60 con la fama di ottavo nel consesso dei Sette. Benché con giro “allungato” (due turni, solida la resistenza di Gabriel Lüchinger espresso dalle sponde udicine), la spuntò Viktor Rossi, ascendenze bernesi ed italiane (da Pietravairano in provincia di Caserta salirono i genitori, negli Anni ’50), passando dai 98 voti della prima ondata ai 135 della seconda; qui la rivendicazione di “imprinting” politico si situa dalle parti dei “Verdi liberali”. I quali, a buona ragione, stasera potranno dire d’esser stati gli unici ad aver davvero vinto qualcosa.