Il Lupo di Wall Street, rappresentazione in celluloide di una storia vera ma necessariamente “caratterizzata” per il grande schermo nei volti e nelle azioni dell’affarista Jordan Belfort dalla spregiudicatezza senza limiti, esiste davvero; cioè esiste – questo, almeno, teorizza su ottime basi Nicola Piacente, procuratore della Repubblica italiana in Como – qualcuno che vende l’inesistente chiedendo cifre da “penny stock” per un affare prospettato come potenzialmente miliardario; ed esiste ai giorni nostri, quando i controlli sulla raccolta di denaro sono capillari e primariamente finalizzati a stabilire se l’operatore sia legittimato a fare ciò, qualcuno che è riuscito a mettere in piedi un castello di balle informatiche attorno a quel paio di marchi inventati lì per lì, sostenendoli con bei siti InterNet e con presenze promopubblicitarie sotto testate giornalistiche, in tal modo arrivando a coinvolgere circa 160 investitori cui era stata prospettata a più riprese l’ormai imminente quotazione dell’azienda su una piazza borsistica. Due gli arresti effettuati oggi – in un caso con assegnazione ai domiciliari, nell’altro con restrizione in carcere – con intervento di uomini della Guardia italiana di finanza (Nucleo di polizia economico-finanziaria in Como), dopo “articolata indagine”; destinatari dei provvedimenti due cittadini italiani, uno risultante membro del Comitato di sorveglianza ed uno componente del Consiglio di amministrazione della società dagli “asset” stravantati e stravalorizzati (ci sarebbe stato un “core business” da due miliardi di euro in solo nickel trattato in filamenti).
L’identità di impresa si chiama “Ixellion ou”, diritto estone trasferito su diritto lussemburghese, curiose analogie ma a quanto pare nessun rapporto diretto con una “Ixellion” a suo tempo cancellata dal Registro di commercio in Ticino e con sede a Paradiso, area di interesse le tecnologie ed i materiali per l’utilizzo in àmbiti quali l’aeronautica; benvenuti i trasferimenti di denaro, convergenza con l’appoggio di una realtà finanziaria in Germania; per qualunque interrogativo rivolgersi sempre alla “Ixellion ou” quale capofila e vera e propria “holding” per varie aziende. Alle tracce raccolte, e la questione è ben lontana dall’essere pienamente descritta, nelle mani degli ideatori di questo sistema sarebbe confluito l’equivalente di almeno quattro milioni di franchi, cifra a fronte della quale le spese sarebbero state quasi nulle (per l’appunto, qualche inserto pagato, le pagine sul “web”, la stesura di testi che raccontano quel che vogliono raccontare in un oceano di dichiarazioni visionarie); quanto presente sui conti correnti e nelle disponibilità è ora oggetto di sequestro. Anche altro consta dal corpo dell’inchiesta: che sono ravvisabili reati quali truffa, abusivismo finanziario ed autoriciclaggio; che i quattrini sono rimasti in parte allo stato liquido ed in parte sono stati trasformati in altri beni, dall’“hardware” agli spettrometri fluorescenti, dalle auto di grossa cilindrata all’oro ad altri metalli (tra cui, e questa sembra una beffa, anche alcune quantità di nickel…); che vari tra gli investitori, stufatisi dei continui rinvii nella quotazione della “Ixellion ou” vogliasi a Francoforte vogliasi a Malta vogliasi a Parigi vogliasi a Vienna e così via o forse non pienamente convinti dalle comunicazioni sociali che con discreta periodicità giungevano via “e-mail”, avevano incominciato a parlare con le autorità ed a presentare denunzie circostanziate.
Si tratterà di vedere: magari è tutt’un abbaglio, magari invece gli “asset” risulteranno essere solo il prodotto di millanterie. Magari, certo. Un fatto tuttavia sorprende: del sito InterNet è stato dichiarato l’oscuramento, eppure tale portale continua ad essere presente. E, in lettura retroversa, a raccontare…