Home CRONACA “Caso Sgarbi”, go-go-go-Gobbi: «Si fueris Romae, romano vivito more»

“Caso Sgarbi”, go-go-go-Gobbi: «Si fueris Romae, romano vivito more»

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Appena ieri auspicavasi qui a bottega, pur senza pretesa a cagion del fatto che sonvi quotidie priorità assai maggiori in agenda (potatura ciuffo di siepe davanti a casa, cambio acqua nella gabbietta del criceto, lettura “Giornale del Ticino” tra le altre), un chiarimento da fonte istituzionale circa la vicenda maturata giorni addietro fra Valmara frazione Maroggia e la dogana a Chiasso-Brogeda, occasionale ospite delle lande ticinesi una nota figura del mondo dell’arte e della tv e della politica. Non dai vertici della Polcantonale, ma direttamente dal capo delle Istituzioni ovvero Norman Gobbi consigliere di Stato, giunse stamane la replica all’invero esagitata invettiva di Vittorio Sgarbi all’indirizzo di Polcantonale e quant’altri siano stati coinvolti nel “caso” (oddio, “caso” si fa per dire. Ma siamo in estate e, similmente a quanto avvenne quasi tre decenni addietro con le otarie Otto e Cesar fuggite dal recinto del “Circo Valentino” ad Ascona ed andatesene a pinneggiare fra Verbano e fiume, dobbiamo pur campare sulla cronaca sconfinante nel “gossip”); risposta poco meno che telegrafica, due paragrafetti, ma chiari e, come tali, qui a capo sviscerabili.

Messaggio uno: “L’educazione è anche saper ammettere quando si sbaglia”. Se il tò brumischta a’l fà ‘na quài büiàda, e te la serviamo in meneghino, non imputarla a noi: su quello stesso tratto c’era un’altra milionata di vetturali, tutti in viaggio, e nessuno di loro si è messo a fare quel che i miei agenti di polizia mi riferiscono essere stato fatto dal precitato autista.

Messaggio due: detto quel che si è detto a proposito dell’educazione, sussiste anche un’evidenza propria della filosofia, e cioè che dal particolare non si può risalire ad un universale; ergo, non da un episodio su cui il Ticino e la Svizzera non hanno alcuna responsabilità può conseguire un verdetto iniquo – tale è l’esito del “giudicare ingiustamente” di cui parla Norman Gobbi – su tutto il Paese, quella Svizzera in cui Vittorio Sgarbi ha dichiarato di non voler mai più mettere piede (e peccato: da laicattolico uomo d’arte – aspetto, questo, che lo pone una spanna avanti ad altri critici nella lettura delle meraviglie che furono generate da mani sapienti nel corso dei secoli – egli si priverebbe d’un “Paul Klee” a Berna, d’un “Mamco” a Ginevra, d’una “Beyeler” e d’un “Tinguely” a Basilea; per inciso, sapete che spetta alla Svizzera il più elevato tasso museale al mondo?; e, ancora, egli non proverebbe più l’incombere della sacralità nella chiesa titolata a san Francesco in Locarno, la potenza vibratile della cultura che si promana dall’abbazia di Einsiedeln e l’emozione del risuonare dei passi che si sovrappongono a millenari passi lungo i tragitti dei pellegrini. Insomma, ôn bèl tajàss i bàll per fààgh vegnì ôl magòn àla dòna, e ci smenerebbe).

Messaggio tre: questa Svizzera, “per fortuna, funziona”. Forse e senza forse a l’è mìa dômà cüü; resta la lepida lapide – chi voglia leggere tra le righe – con dedica agli amici peninsulari, di certo migliori rispetto a gran parte di coloro da cui sono rappresentati.

Messaggio quattro, e ultimo: in Svizzera ed in Ticino “i deputati non hanno “auto blu” e, men che meno, “auto blu” dotate di lampeggianti prioritari, privilegio concesso solo agli enti di pronto intervento che sono – essi, e non Ella – al servizio della comunità tutta”. In espressione proletaria: esistono regole, le regole valgono per tutti, alle regole non ci si sottrae; sottinteso, disposto a documentare, quando beccai un “radar” a 200 metri da casa andai a pagare di tasca mia, punto. Di tale concetto esiste, tra l’altro, un distico elegiaco ovvero esametro più pentametro nel latino che Vittorio Sgarbi giustamente ama: “Si fueris Romae, romano vivito more / si fueris alibi, vivito sicut ibi”. E cioè: a cà méa l’è inscì, in buon dialetto onorandosi sant’Ambrogio autore germanico adottato insubre, bella zio, e morta lì, e buon tutto.