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Boas Erez sul binario morto, finisce qui la corsa al rettorato del “Papio”

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Quanto era opportuna la chiamata di Boas Erez, già a capo dell’Usi, quale rettore del “Collegio Bartolomeo Papio” in Ascona? Zero. Quanto, al netto degli equilibri da ritrovarsi e degli equilibrismi tra diverse sensibilità e di una sterzata da imporsi dopo note e poco commendevoli vicende, tale scelta era logica? Uno. Quanto tale nomina era da considerarsi gradita, benché a farsi brillantemente latore della proposta fosse stato Filippo Lombardi, presidente del Consiglio di fondazione dell’istituto per il quadriennio 2021-2024? Uno e mezzo a far tanto. Morale: dato per papa quando nemmeno era entrato in Conclave da cardinale, Boas Erez è uscito oggi nemmeno da vicario in una parrocchia di montagna. E cioè: chiamato ad esprimersi perché a lui compete la decisione di nomina, monsignor Alain de Raemy amministratore apostolico di Lugano ovvero ordinario diocesano “pro tempore” ha in ultimo detto che no, non è il caso. Ergo, la ricerca di un successore per don Patrizio Foletti continua. E sarà un bel problema, per ragioni su cui non si sta qui a solfeggiare ma che alla sintesi si riducono ad una: l’eredità è greve. Oggidì, anzi, oltremodo greve.

Alla prima carrellata di dubbi sul senso dell’operazione – nel maggio di due anni or sono, si ricordi, Boas Erez mollò il rettorato dell’Usi nel pieno del vento delle polemiche per quelle che furono liquidate come “divergenze di vedute” in àmbito amministrativo – si erano via via sommate perplessità non sulla persona (questo mai) ma sul suo profilo pubblico; deprecabile il sostegno esplicito agli ex-molinari ovvero ex-macellari in quel di Lugano, non già per l’appoggio “in sé” quanto per la carenza di argomenti e di conoscenza del dato storico su cui invece gli ora dispersi del già Csoa si àncorano; un punto interrogativo – cosa su cui monsignor Alain de Raemy avrà condotto qualche dozzina di accertamenti – l’effettiva coerenza religiosa del neocattolico Boas Erez con un’identità che la dottrina ha spesso non già seguito, ma anticipato e scritto. Sullo sfondo, anche un’assenza reale di comprensione dell’impegno nella sua profondità; tesi che tanto Boas Erez quanto i membri del Consiglio di fondazione respingerebbero con sdegno, e nulla si contesterebbe al proposito, ma solo “pro bono pacis”. Vero è tuttavia che in quel sabato 19 ottobre, al momento dell’annuncio, da Ascona si era levato un pennacchio da fumata bianca, unilaterale quanto si voglia ma molto molto chiara; e, difatti, un solo nome anziché un ventaglio di candidature era uscito da lì. Vi fu anche chi suppose che in Curia a Lugano fosse stato fatto già trapelare il progetto e che sussistesse un assenso di massima, o un “non dissenso”, nel rispetto formale della norma secondo cui dal Consiglio giunge la proposta e dal vescovo (o da chi per lui) viene la designazione. Et cetera.

A tagliare il nodo gordiano in una procedura già sin troppo a lungo trascinatasi, ed agendo nell’imminenza del Natale e dell’apertura dell’Anno Santo sicché d’altro vi sarà da parlarsi, è stato in ultimo l’amministratore apostolico cui, sia detto, una clausola di uscita elegante dal trilemma (accettare Boas Erez “tout court”, respingere Boas Erez con intervento che a quel punto si sarebbe rivelato muscolare, rinviare l’oggetto al mittente invitando i membri del Consiglio di fondazione ad analizzare meglio le esigenze) era stata offerta, prospettandosi infatti un incarico con riconoscimento di una quota di tempo di lavoro al… 20 per cento, e ciò in forza dell’essere tuttora Boas Erez in quota docenti all’“Università della Svizzera italiana”. In banalissimo computo, tra presenza fisica in sede ed impegno “da remoto” – ma sì, ci mancava solo l’ipotesi di un rettorato in modalità “smart working”… – la partecipazione diretta da parte del nominabile si sarebbe tradotta in un giorno la settimana, e questo proprio perché non di più è concesso secondo il regolamento Usi. Ergo, tanti ringraziamenti per l’essersi messo a disposizione ma binario morto; sulla testa di Boas Erez, solo che ci si voglia pensare, una nemesi mica male.