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Addio a Massimo Pedrazzini, il cui occhio sapeva vedere oltre l’obiettivo

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Ci direbbe, adesso: “Se proprio dovete scrivere, siate obiettivi”, e giù di mezza risata (mezza: una intera, nella sua cifra, era di troppo). Era obiettivo, eccome, Massimo Pedrazzini andatosene nelle scorse ore all’età di 60 anni, pochi per tutto compresa la vita: obiettivo e tutt’uno con l’obiettivo della macchina fotografica, da intendersi come attrezzo e come strumento d’arte. L’immediato era cronaca, il ragionato era storia, nelle mani d’un locarnese cui dobbiamo sei lustri e più dei fatti ticinesi ed almeno 20 di sguardi sul resto del mondo, Nepal e Tibet nel cuore, Giappone per la curiosità innata, gli Stati Uniti perché “una volta almeno si deve”, e per lui non era stata una volta soltanto, ovviamente.

Collega era, Massimo Pedrazzini, e riconosciuto come tale in un tempo non lontano ma nel quale qualche direttore di quotidiano faceva ancora lo schizzinoso nel concedere al fotografo dignità pari a quella del cronista. Collega era, Massimo Pedrazzini, per il metodo con cui coglieva l’essenziale ed il superfluo, facendo egli poi piombare sulla scrivania di redazione un pacchetto di materiale sviluppato benché l’esigenza espressa nell’ordine di servizio si fosse configurata in uno scatto soltanto, sicché nessuno tra i committenti – e ne aveva di importanti: per il defunto “Giornale del popolo” era l’occhio che vedeva dappertutto, non di rado avendo finito il servizio quando il giornalista doveva ancora arrivare – si trovasse a manifestare non diciamo una critica, non diciamo un’obiezione, ma sì, una lamentela perché nel “dossier” dell’evento tale non figurava il consigliere Tizio o il presidente Caio. Tranquilli, c’erano entrambi, per volto e per mezzobusto ed anche a figura intera, all’occorrenza; capitò anzi, e d’una sola possiamo parlare per conoscenza diretta, che a formare parte dei viventi in un’immagine sulla pubblica piazza comparisse un gentiluomo dall’acclarata notorietà e che al suo fianco – al fianco del gentiluomo, non della notorietà, sia chiaro – si trovasse una gentildonna, e nel passaggio dal negativo al positivo cioè anche dalla dimensione d’un francobollone a quella d’un bel 24 centimetri per 18 si rivelasse un affettuoso contatto tra gentildonna e gentiluomo, sul che nessuno avrebbe avuto da ridire se gentiluomo e gentildonna non avessero avuto ruoli d’un certo peso nella comunità e, soprattutto, una famiglia ciascuno. Esisteva un filtro di controllo in quella redazione (no, non era il GdP o la sua versione territoriale sotto testata del “Giornale di Locarno”, ma nemmeno sotto tortura riveleremo il dove ed il che); forse per errore da svista o forse per dolo – tra gli stampari si annidano serpi quali nemmeno potete immaginare; anche Massimo, ad un certo punto del percorso professionale, si trovò a subire uno sgarbo che lo disturbò parecchio – accadde però che la foto fu pubblicata, e con il prodotto editoriale ancora fresco d’inchiostro la fedifragia dei due reprobi divenne nota al clero ed al volgo. Se avete in mente quel che avvenne a metà luglio scorso per via della “kiss cam” ad un concerto dei “Coldplay” nel Massachusetts, ecco, l’effetto fu più o meno identico, ma con un’onda d’urto appena appena amplificata per via del fatto che tra da nümm et cetera.

Sulla professionalità, spendiamo l’aggettivo “impeccabile” cioè rispondente a quel canone (“Ma il mio è un Canon”) che egli dava come definizione di sé: “Tutti fotografano, alcuni fanno fotografie”. Tra Locarno (primo studio, anno 1986) e Losone (armi e bagagli lì trasposti, anno 1993) l’esercizio dell’attività a tutto tondo; lavorò, Massimo Pedrazzini, per il “Festival internazionale del film”, per il “Rabadan”, per il “Jazz cat club”, per la “Rega”, per altri enti. E per aziende, contribuendo con l’inventiva: all’inizio molti portavano l’idea e contavano di vederla trasformata in prodotto (grafico, artistico, pubblicitario, quel che fosse), poi un po’ tutti si abituarono a lasciar mano libera; se si fosse voluta una rappresentazione del reale, la foto avrebbe trasudato realtà più dei suoi stessi interpreti; se si fosse desiderato l’onirico, l’immagine sarebbe stata immaginifica ed immaginifera. Possiamo anche dirlo, ora, non temendo più il contraddittorio: un favore occasionale a prezzo di mero costo, e cioè di fatto smenandoci, Massimo Pedrazzini non l’ha mai negato.

E adesso andatevene, e lasciateci ai nostri pensieri, al nostro dispiacere, alle nostre lacrime.