Noi di quella “Gazzetta”, noi che siamo stati parte di una storia editoriale da battaglia informativa senza quartiere nel tempo in cui il Ticino era stampa a colonnaggio quintalometrico; noi di quella “Gazzetta”, che lì sperimentammo – forse primi in Europa – i prodromi della videoimpaginazione di un quotidiano disponendo di tecnologie risibili e di schermi dalle dimensioni di quattro francobolli; noi di quella “Gazzetta”, che al di là dei percorsi poi seguiti restammo vincolati da un’amicizia non convenzionale; noi di quella “Gazzetta”, prima d’ogni altro fatti salvi i congiunti, ci inchiniamo oggi per rendere omaggio al nostro direttore Giovanni Casella, all’anagrafe Giovanni Casella Piazza, sotto il quale e con il quale ci trovammo a condividere una stagione irripetibile – chi per più tempo, chi per meno – nella seconda metà degli Anni ’80. Se ne è andato in modo silente, a tre quarti di secolo su questa Terra, “il John”, così ribattezzato al tempo dall’ultimo giunto nella congrega di via Pietro Peri a Lugano – lì la penultima redazione dei giorni d’oro; l’ultima trovò alloggio a Bissone – in forza dell’omonimia con un Giovanni detto “John” Casella che aveva combattuto con il generale George Custer alla Battaglia del Little Bighorn; erano tempi in cui ai direttori ci si rivolgeva con il “Lei”, in alcuni casi financo con il “Voi”, e le ironie di redazione potevano anche diventare motivo di reprimende; ma Giovanni Casella, per quanto di formazione non giornalistica (veniva anzi dalla consulenza aziendale, l’economia come pallino), nutriva una solida passione per la storia e dell’esistenza del caporale John Casella aveva sentito parlare; sicché un giorno scese in redazione passando dal corridoietto interno – erano dedali dedali, gli uffici di “Gazzetta”: nei recessi si sarebbe potuto nascondere un obice blindato -, prese da parte l’incauto che sentiva ormai odore di zolfo e di licenziamento ed invece si fece raccontare per filo e per segno la storia d’un immigrato romano che, forse più per bisogno che per convinzione, era diventato firmaiolo quinquennale nell’Esercito statunitense finendo inquadrato nel Settimo reggimento di cavalleria. Poi rispuntò il direttore nel senso del capo: “Ci scriva un pezzo, quando Le càpita, e cerchi di scoprire se magari era un discendente dei Casella scesi a Roma da Carona”. L’ennesima traccia rimasta lì in rampa di lancio, ahinoi; scarsissime le fonti, introvabili i riferimenti.
Si vuol essere chiari e netti: Giovanni Casella, dal quale ci congederemo sabato mattina al “Tempio crematorio” in Lugano, aveva preso le redini editoriali di un prodotto dalla fama preclara ma pressato nell’area liberale-liberale, quella masoniana, l’avvocato Franco Masoni essendo in effetti il “dominus” discreto; eppure nessuna professione di fede politica, a differenza di quanto avveniva in altre parrocchie, era chiesta ai redattori che contestualmente erano almeno capiservizio disponendo ciascuno di un sia pur modesto “budget” per alimentare le collaborazioni esterne; da questo derivava una totale libertà di azione, e di ideazione, e di espressione. La voce del padrone, in verità, era avvertita come refolo, mai invadente, di rado coinvolta in diatribe da bassa forza; massimo contatto, l’utilizzo in comune di un apparecchio fax, che era un bel lusso. Tra i potentati vi fu però un episodio da frizione: un tizio acquisito come consigliori per l’area “marketing” propose a Giovanni Casella di far intervistare Franco Masoni su alcuni punti, presumendo e forse raccontando che gli argomenti sarebbero risultati utili per aprire il dialogo con potenziali “supporter” del giornale; Giovanni Casella volle fidarsi ed agì quale tramite per ottenere la disponibilità dell’avvocato; il tizio fornì una sorta di questionario da sottoporsi; il compito di effettuare materialmente l’intervista per telefono, e nulla potendosi mutare nemmeno nelle virgole, fu affidato ad un cronistello che almeno fu abbastanza furbo da cautelarsi con l’interlocutore (“Onorevole, io sono qui solo come portamicrofono, va bene lo stesso?”). Al secondo quesito, Franco Masoni sbottò: “Ma chi è il cretino che ha scritto queste domande? Lei non è stato, Giovanni di sicuro non è stato…”. Tra i colleghi, la storiella fu a lungo motivo di qualche motteggio; anche perché il tizio, a distanza di qualche mese, incappò in altra e più grave disavventura, quisque auctor fortunae suae.
Nell’estate 1987, sull’asse tra “Gazzetta” e “TeleCampione”, che era altro suo motivo di occupazione e di preoccupazione, Giovanni Casella ebbe un’intuizione funzionale alla sua competenza distintiva e ad un’ambizione: mettere in piedi un polo informativo che desse spazio via via crescente all’economia ed alla finanza; per questo andò alla ricerca di uno che fosse avvezzo a scrivere della materia fuori dai paludamenti e dai tecnicismi (“Se volessi un bancario non avrei che da aprire il libro del telefono, no?”), da delirio fu il colloquio di assunzione al quale, per ragioni qui non esplicabili, ci si trovò ad assistere (“Lei è un economista?”; “No, direttore, sono un cronista che scrive di economia”. “Ma da quali studi viene?”; “Eh, Lettere, indirizzo storia medievale”. “Un medievista? Avrebbe dovuto dirmelo prima, si presenti il 22 alle ore 17.00 per il primo contatto con i Suoi futuri colleghi”). Sul cartaceo, per prima cosa, fu aperta una finestra quotidiana (singola o doppia pagina) dedicata all’economia cantonale ed affiancata alla pagina di economia generale ed alle quotazioni di Borsa; a parte alcune notule di fonte Proec (“Società per il promovimento dell’economia svizzera”; aveva un ufficio a Lugano sin dal 1981, sarebbe diventata “EconomieSuisse” nel 1999), ed a parte i bollettini di area sindacale, i materiali di uso corrente erano scarsi e dunque il varo della nave risultò piuttosto laborioso. Non fu fortunatissimo, Giovanni Casella, trovandosi poi ad affrontare una crisi aziendale da cui seppe venire fuori con eleganza. Anni più tardi un nuovo incontro, questa volta nel mondo delle produzioni videocinematografiche: non più da superiore a sottoposto, ma da persone con interessi professionali coincidenti, si trovò modo per scambiarsi numeri di telefono per contatti nell’ambiente – possibili sbocchi di mercato, parlandosi terra terra – fra Milano, Roma e la Francia. In tempi più recenti, e vogliamo avere di lui l’immagine di un novello John Casella proiettatosi alla ventura, la determinazione a mettersi in gioco per la rivitalizzazione della sede dell’ex-“Cima Norma” in Valle di Blenio, ipotesi di lavoro che dovrebbe condurre alla nascita di un centro polifunzionale anche con opzione alberghiera e con un recupero anche dell’arte cioccolatiera che era impronta della citata “Cima Norma Sa”.
Direttore, sì, Le dovevamo ancora un pezzo. Non avremmo voluto che fossero queste poche righe in cui Le riconosciamo di esser stato a capo dell’ultima grande “Gazzetta ticinese”, nulla volendosi togliere agli epigoni, ecco; ad ogni modo, grazie. Nella foto, una prima pagina del quotidiano con editoriale a firma di Giovanni Casella e, al centro, la foto dell’ora scomparso.