Se le parole sono pietre, i numeri sono mattoni; nel caso della pandemia covidiana di cui auspicabilmente stiamo attraversando l’ultima propaggine dell’ultima fase, tanto di più, spettando ai numeri il ruolo di parametro attendibile per la definizione di evidenze e tendenze; insomma, grazie alle cifre (meglio: a chi le cifre ha diffuso sulla stampa in modo responsabile, sempre in un contesto, sempre con un occhio a quanto emerso e con l’altro a quel che sarebbe accaduto) e sulla forza intrinseca delle cifre abbiamo avuto il polso della drammaticità della situazione, abbiamo pianto per le vittime, abbiamo compreso alcuni fenomeni ed abbiamo intuito qualcosa che fenomenico, nell’accezione propria dell’essere manifesto ossia del balzare all’occhio, invece non è. Grazie alle cifre e sulla forza intrinseca delle cifre, ad un certo punto ed in verità piuttosto presto, la “pars sanior” della stampa è passata dal mero riferire i dati (che erano pochi, frammentari, isole e scogli di un arcipelago mai descritto sino a quel momento) al renderli organici, al situarli, al contestualizzarli ed al trarne suggerimenti; già sull’esaurirsi della prima ondata – quella violentissima, quella delle 350 vittime su 3’531 casi dichiarati – si iniziò a capire che, pur risultando importante ciascuno dei valori disponibili, a contare erano gli indici di riproduzione del contagio e soprattutto l’entità degli ingressi in ospedale, e più ancora gli accessi (forzati, certo) ai reparti di terapie intensive, e più ancora la gravità era descritta da quanti erano sottoposti alla ventilazione assistita.
Da ciò e su ciò, da questi e su questi che potremmo anche definire come sintomi, abbiamo via via costruito una serie di percorsi potenziali anche nella narrazione al cittadino, nulla nascondendo (si parla sempre della menzionata “pars sanior”, non dei compilatori di bollettini alla copia-e-incolla, soggetti che nessuna dignità giornalistica possono rivendicare) e nulla forzando, e tenendo invece i pugni – ci si consente, vero, un’umana partecipazione? – a ciascuno di coloro che stavano lottando tra vita e morte. Con il “focus” sui ricoveri in strutture nosocomiali e sulle dimissioni dalle medesime, ad esempio, abbiamo potuto dare una rappresentazione visiva anche allo sforzo compiuto da medici, infermieri, ausiliari e personale di collegamento; le centinaia sono diventate decine, le decine sono diventate unità, il reale ci racconta oggi di forse tre degenti (scriviamo “forse” nell’attesa del riscontro quotidiano alle ore 10.00, magari potremo gioire per un’altra uscita) in tutto. Certo, abbiamo anche dovuto aggiungere croci su croci: e l’espressione non suoni irrispettosa verso tutti i morti (350, lo si ripete) della prima fase, ma i 37 decessi negli ultimi 105 giorni fanno ancora più male perché ad inizio marzo 2021 – e da questo punto calcoliamo le vittime dell’anno secondo nel nome del “Coronavirus” – le condizioni-quadro erano cambiate e stavano ancora mutando. Ricorderete: a febbraio 2020 si brancolava nel buio, anche in sede ufficiale trovavano ampia eco le tesi dell’“È solo un’influenza più pesante delle altre”, “Due settimane e sarà tutto risolto”, “Don’t worry e andate tranquillamente a far cena a Milano con gli amici” (ed è argomento su cui si dovrà tornare, a bocce ferme); ora abbiamo tutt’altri parametri di riferimento.
Un giorno, e magari presto, qualcuno scriverà un lavoro di diploma – vale per Scienze della comunicazione, vale per Matematica e Statistica – sull’accaduto; un giorno qualcun altro farà tesoro dell’esperienza anche in termini di attendibilità delle notizie e delle raccomandazioni diffuse, di attitudine alla puntualità della comunicazione e di trasparenza dell’informazione. Non è che ci voglia molto, non con gli strumenti oggi a disposizione; per prima cosa basterebbe che scomparisse la discrasia fra dati dichiarati e dati pubblicati, ad esempio sul versante della campagna di vaccinazioni, sussistendo a tutt’oggi un inspiegabile scarto di qualche giorno tra quanto riferisce il competente consigliere di Stato e quel che figura nero su bianco nelle tabelle “ufficiali” del suo stesso Dipartimento. Da una parte, per fedeltà al lettore, noi siamo tenuti a scrivere che 273’710 sono le dosi somministrate, con copertura del 32.4 per cento degli aventi diritto, essendo questi i riscontri pubblicati da fonte ufficiale (punto di rilevamento: domenica 13 giugno), e non possiamo permetterci di “prevedere” un dato più aggiornato nemmeno sulla scorta di tendenze in larghissima misura attendibili (e per logica si direbbe: se per 10 giorni consecutivi vengono praticate 4’000 iniezioni ogni giorno, non vi è motivo per teorizzare qualcosa di diverso da “circa” 4’000 iniezioni anche nel giorno undecimo); ma la stessa fonte, al di fuori delle cifre codificate e cioè messe a disposizione con tanto di tabella, cio racconta che il numero effettivo di somministrazioni si situa già oltre le 285’000 unità. Il che sposta, sposta eccome: primo, perché ci fornisce una scansione attendibile circa l’avanzarsi della campagna pur nel suo essere stata rimodulata (smantellamento della struttura al “Fevi” di Locarno, idem dicasi per quella di Capriasca frazione Tesserete); secondo, perché 12’000 dosi in più – e parte di esse è necessariamente pertinente alla seconda somministrazione ovvero al completamento del ciclo – contribuiscono anche a mutare la percezione collettiva sul significato dei passi che si stanno compiendo. “Percezione”, certo: nell’udire che vi sono “tre vaccinati su 10” (stato dell’arte ad una diecina di giorni addietro) vien quasi da preoccuparsi perché mancano all’appello ancora sette persone su 10; nel leggere che è stata superata la soglia di un vaccinato su tre (ed ora qui siamo), invece, avvertiamo l’evidenza di una marcia in cui, con le rare eccezioni di coloro che non intendono farsi coinvolgere e ferme restando le garanzie di sicurezza sui trattamenti cui si viene sottoposti, tutti stiamo nel medesimo plotone.
Davvero: basta poco per dire sempre e puntualmente le cose come esse stanno, ed a beneficio della collettività (di transenna: peccato davvero che dallo specchietto statistico siano scomparsi i numeri sui soggetti in isolamento e su quelli sottoposti a regime di quarantena. Di sicuro le cifre si sono abbassate, in queste ultime settimane; e tutto quel che tende a zero, nel contesto, è un toccasana). Fatelo.