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A margine / Covid-19, dalla piazza di Cevio squilli di riscossa

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Sarebbe stato un puntino (importante, ma un puntino), nel calendario normale della normale estate ticinese. In questa estate, nell’estate 2020 dai cento rinvii e dai mille annullamenti, fu invece evento vero e concreto, fu annuncio di resistenza umana, fu segno di riscossa; e difatti, su Cevio o meglio “sul” Cevio (sì, sarebbe anche il momento di riappropriarsi del diritto a lasciare ai luoghi quanto risiede tra le peculiarità ad essi conferite dalla storia), domenica tra pomeriggio e tramonto inoltrato si riversò un pezzo di mondo, dal borgo e dall’intera ValleMaggia e dal Locarnese e da fuori Distretto, ed in più con il carico degli stranieri finalmente in facoltà di convergere su qualcosa che si aspettano di trovare, se e dal momento che scelgono di trascorrere qualche frammento di vacanza in Ticino. Era il “Mercato dell’artigianato”, nella definizione canonica: il secondo, a rigor di programma originario dei membri dell’“Associazione artigiani ValleMaggia”, perché al tempo dell’Ascensione cioè di inizio terza decade di maggio era previsto un bel ritrovo sulla piazza di Avegno in Comune di Avegno-Gordevio, ma tutto andò a monte causa pandemia; doppiamente importante, allora, il rimettere sul terreno qualche paletto.

E funzionò, eccome. Senza bisogno di trasformazioni, senza necessità di gonfiare il maiale cioè di inventare qualcosa di straordinario; senza necessità di contingenti, di “app”, di prenotazioni, di tabelle; con i dovuti controlli, certo, due poliziotti in pattugliamento e con livello di massima visibilità, e transenne pavesate a festa ma anche ricoperte degli avvisi sulla profilassi anti-“Coronavirus”, e davanti ad uno “stand” due volonterose ragazze furono piazzate e deputate al tracciamento dei presenti, su base volontaria, e diremo di aver viste compilate sì e no 25 righe equivalenti a 25 soggetti, potendosi credere solo fino ad un certo punto che la schedatura di altri – ad esempio, i titolari delle bancarelle – non avesse avuto luogo in precedenza. Le cose, quelle della quotidianità: stoffe pupazzi ricami trine merletti, sassi dipinti e con il buco e buchi senza sassi un po’ come il sorriso dello Stregatto in dissolvenza nelle pagine di Lewis Carroll, fila per la “buvette” a seguire la freccia disegnata con il gesso sul terreno, e il Ruben Mossi macellaio dalla frazione Cavergno. Formaggi begli assaggi, salumi senza grumi, panini pronti ad accogliere la salsiccia grigliata, birra e via; nel mezzo, ecco, i tavoloni da festa con obbligo morale di separazione fisica tra le persone, un po’ triste il boccale di birra che nemmeno può andare a cozzare con quello del vicino perché il vicino deve stare all’altro angolo; ma per ora va bene anche così, la piazza era occupata dal lato della stazione di servizio e sino al palazzo del Pretorio alias casa dei Landfogti ed anche sul tratto verso la Cantonale. Tocco da festa popolare anche con i musici, fisarmonica e chitarra soprattutto e voci dal vivo: persino lo spazio per un’improvvisazione di “Romagna mia”, quasi a dire che se quest’anno non c’è tempo o modo per andare in Riviera tra Cervia e Riccione, beh, ecco che la Riviera vien su da noi.

Nel medesimo tempo, a Lugano, si consumava lo psicodramma della Foce semideserta così come era avvenuto il giorno prima. Non che si vogliano trarre conclusioni, ma un’idea ci si è fatta: dove imponi vincoli (registrazione preventiva, nome e cognome e numero di telefono, e chi siete e che cosa porta e quanti siete un fiorino), la reazione è refrattaria; per contro, dove dai fiducia (con diritto al controllo, niente Rambi e Rambetti ma uno spazio condiviso con qualche linea di accesso e di uscita), la gente torna a trovarsi, a salutarsi, a riconoscersi. Per una volta, nella sfida tra città e paese, ha vinto il paese.