Non partirà dal Ticino, il “Tour de France” 2027, e con ogni probabilità non avremo qui nemmeno un arrivo di tappa o una partenza di tappa o un pezzo di tappa. La notizia, invero non destinata a sconvolgere le masse anche perché pare che manco gli addetti ai lavori fossero informati di tale ipotesi, giunge da Palazzo delle Orsoline in Bellinzona essendo stata data una cortese ma ferma risposta – sul modello del “Nous regrettons mais a gh’émm mìnga danée da bütà in dal céss” – agli organizzatori dell’evento che, per dire, all’inizio di febbraio hanno piazzato all’Italia lo stesso prodotto millesimato 2024, sicché la 111.a edizione della “Grande boucle” scatterà da Firenze per arrivare a Rimini, poi da Cesenatico a Bologna, indi da Piacenza a Torino, laddove con le lande di Marianna solo la capitale sabauda ha o avrebbe qualcosa a che fare, almeno in senso storico. Era già stato venduto da tempo, sempre in sconfinamento ma (pare) a prezzo di affezione, il pacchetto 2023: a luglio ci si occuperà dunque dei Paesi Baschi, primo giorno circuito a Bilbao, poi da Vitoria-Gasteiz a Donostia-San Sebastián, poi da Amorebieta-Etxano (cioè Zomotza) jusqu’à la frontière ed oltre, cioccolatini per tutti a Bayonne quale meta.
Non si dubita del fatto che la rinuncia sarà anche stata sofferta, e prodotto di prolungato ponzamento oltre che di diuturne consultazioni tra attori reali e potenziali. Ma in Consiglio di Stato, almeno tra i quattro quinti dei consiglieri confermati e che dovrebbero intendersi senza nemmen bisogno di parlarsi, vige ed impera una “spending review” applicabile e da applicarsi primariamente al voluttuario; allettante era l’offerta, espressa con lettera avente data di mercoledì 8 febbraio, ma dagli allegati emergeva l’evidenza della necessità di un sostanzioso intervento pre-gara, cioè quelli portano il marchio e noi mettiamo i dindini per approntare quel che è da approntarsi. Quanti dindini? Eh, ‘nzóma, tutta la mano destra aperta. No, non 500’000 franchi; cinque leggansi c-i-n-q-u-e milioni. Tanti sempre, tantissimi con ‘sti chiari di luna che magari non verranno ma non si sa mai, come traducono in verbalese domiciliare glottografico e financo glittografico gli autori della risposta di cui si riporta la versione da virgolettato di sintesi: “Comme ci comme ça dobbiamo adottare un approccio pragmatico, i conti del Cantone sono stati profondamente intaccati dalla situazione economica e da quella geopolitica”, morale “Del doman non v’è certezza” e questa è soltanto una conclusione “off the record”, voi ovviamente ci state offrendo l’unica “Signora in giallo” cui si debba rispetto, ora che Angela Landsbury ci ha lasciato, ma io Canton Ticino del buonsenso preferisco restare auprès de ma blonde, per gentile concessione di monsieur André Joubert du Collet.
Per ora, alle brevi, proprio nisba: sarebbe stato bello, ma poi? Uno che faccia i conti, anche tra gli appassionati di ciclismo e tra i pianificatori di progetti a lungo termine, impiega poco per capire che sarebbe stata una pretesa economica soverchiante anche in tempi di vacche grasse. Vogliamo un raffronto, sul piede di una bella e stimolante ipotesi di struttura fissa da insediarsi in Ticino? Con cinque milioni di franchi, a parametri dati da opera esistente e nemmeno troppo lontano da qui, si copre un terzo dei costi per la realizzazione dell’auspicatissimo velodromo, pista a sviluppo da 250 metri, omologazione per ogni genere di competizione e tra parentesi vi spariamo l’elenco (velocità, corsa a punti, velocità olimpica, americana; keirin, chilometro da fermo per gli uomini e 500 metri da fermo per le donne, omnium, inseguimento individuale, inseguimento a squadre, scratch, serie di sprint,, eliminazione e giro lanciato), tribune per 2’000 posti, compresa nel prezzo anche la copertura al che si avrebbe un’arena riutizzabile per spettacoli e concerti et similia. Standoci all’occhio, e nel risparmio, semmai queste sono le cose in grado di orientare le politiche.