43 anni, cinese, dimorante nel Luganese, professione “manager”. Nel senso che maneggiava, da sostanziale tenutaria di un bordello forse stanziale o fors’anche mobile: le sue collaboratrici, cui ogni tanto si associava direttamente perché se càpita di arrotondare lo si fa anche quando lo smalto ha fatto spazio alle smagliature e poi si confida sempre nella miopia o nella disattenzione del cliente infoiato, vendevano servizi formalmente dichiarati come “massaggi” e per la cui descrizione in atto reale non si crede servano né disegnini né filmati. Motivo sufficiente per un arresto, come in effetti avvenuto giust’or è una settimana per quanto della cosa si sia saputo questo pomeriggio, con merito da condividersi fra agenti della Polcom Lugano e colleghi della Polcantonale su esito di inchiesta magari non complessa ma ben articolata.
Storia all’essenziale: a) le attività non erano oggetto di comunicazione previa all’autorità cantonale; b) la 43enne fungeva da perno – tale l’impianto emerso in sede di inchiesta – per un sistema in cui le operatrici lavoravano a comando e, per di più, dovendo lasciare alla “maîtresse” una bella quota del guadagno. Le indagini sono suscettibili di estensione, dovendosi ad esempio rilevare l’entità della rete organizzata nel corso del tempo; nel “dossier” di cui è titolare la procuratrice pubblica Petra Canonica Alexakis, ad ogni buon conto, figurano per ora addebiti quali promovimento della prostituzione, esercizio illecito della prostituzione, infrazione alla Legge federale sugli stranieri, impiego di stranieri sprovvisti di permesso, e giustamente l’usura per quell’azione di caporalato cui le professioniste non potevano sottrarsi.