Home CRONACA Truffe informatiche alla nigeriana, “e-mail” a raffica sul Ticino

Truffe informatiche alla nigeriana, “e-mail” a raffica sul Ticino

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Ci risiamo: nelle caselle di posta elettronica dei ticinesi è tornato il martellamento di “e-mail” a carattere estorsivo, solita pretesa di pagamento in bitcoin, solita minaccia sul tono dell’“O mi spedisci i soldi e alla svelta o mando la registrazione di quel che fai a tua moglie e ai tuoi amici ed a tutti coloro che stanno nella tua rubrica”, e nel “(…) quel che fai” entrano le visite a siti InterNet dai contenuti a luci rosse e le attività del soggetto-bersaglio in materia sessuale. Materiali compromettenti di cui, sostengono dalla Polcantonale, chi organizza la truffa non dispone; vero è tuttavia che fra i mezzi di pressione compaiono spesso elementi che possono indurre ad una reazione d’istinto, ad esempio l’indicazione di una “password” della quale il destinatario della missiva si è servito per qualche tempo o che è tuttora presente a… tutela della propria corrispondenza o del proprio “personal computer”. Come è possibile? Beh, è possibile su almeno due percorsi: magari i delinquenti hanno avuto accesso ad una delle masse di “account” di vario genere ed i cui estremi sono provento di attacchi da parte di criminali informatici (ad inizio aprile, per esempio, su una piattaforma InterNet furono pubblicate informazioni sensibili pertinenti ad oltre 533 milioni di utenti “Facebook” da almeno 106 nazioni); in alternativa, vale il solito trucco dell’andare per tentativi cioè per approssimazione, dal momento che di rado gli utenti si servono di “password” particolarmente elaborate.

Per quanto riguarda l’ultima ondata di truffe tentate, una diecina le comunicazioni pervenute alla Polcantonale nel volgere di pochi giorni e probabilmente centinaia le “e-mail” truffaldine che sono state o bloccate e cestinate dai sistemi di sicurezza sui “server”, o eliminate direttamente dai proprietari delle caselle di posta elettronica. Qualche riscontro costante: la richiesta è pari a 1’000 dollari per l’appunto da convertirsi in criptovaluta predefinita; il testo è in tedesco da traduzione googleana su base mal scritta in altro idioma, presumibilmente l’inglese ma da soggetto o soggetti non madrelingua, e con errori sia di grammatica sia di sintassi; del resto, sorgenti primarie di questi attacchi al portafogli altrui sono Paesi africani, la Nigeria soprattutto. Consueto “phishing”, consueta delinquenza contro cui le armi sono spuntate (e lo si dica: le denunzie sono tempo perso, stante anche la rete di protezioni dirette ed indirette di cui i criminali godono a casa loro). Suggerimenti: fregarsene cioè mai dare séguito alle richieste, e cambiare spesso le “password”, e ripulire spesso la cronologia del sistema; insomma, ordinaria ecologia sul “personal computer”.