Gli svizzeri ed i residenti in Svizzera si guardino dall’entrare nella “zona arancione” cioè di passare la frontiera con Lombardia e Verbano-Cusio-Ossola; non sono graditi. Per contro, frontalieri liberamente “imposti” al Ticino, senza restrizione nel senso che basterà loro il portare con sé un documento (ed il permesso “G” vale per tutto, insieme con la carta d’identità). Tale la pretesa comunicata oggi in conversazione telefonica da Luigi Di Maio, ministro italiano con competenza sugli Affari esteri, all’omologo Ignazio Cassis, e da quest’ultimo trasmessa al collega Alain Berset, e da quest’ultimo posta a centro del dialogo con Christian Vitta, presidente del Consiglio di Stato ticinese che nel tardo pomeriggio ha infine parlato da Palazzo delle Orsoline in Bellinzona (una conferenza-stampa era annunciata per il pomeriggio, poi per le ore 18.00, poi per le ore 18.20, effettivo inizio alle ore 18.45; procrastinazione, a quanto risulta, dovuta alla necessità di ultimi affinamenti per totale chiarezza). In pratica, secondo la tesi dell’autorità politica tricolore, “tutti i lavoratori possono continuare a spostarsi per l’esercizio dell’attività professionale (…) tra la Svizzera e l’Italia”, ma nello stesso tempo vengono emesse “severe restrizioni” e “di conseguenza si chiede agli svizzeri ed ai residenti in Svizzera di non recarsi nelle regioni interessate”, quali che siano le effettive necessità (relazioni di affari, in particolare, essendo fenomeno oggettivamente marginale e numericamente irrilevante il “frontalierato al contrario”). Si “chiede”, sta scritto; alla luce di prese di posizione ben presenti sulla stampa d’oltrefrontiera e caratterizzate dalla promessa di interventi drastici da parte delle forze dell’ordine, compresa la minaccia di arresto, siamo all’intimazione sparata a muso duro e con un riflettore puntato sugli occhi.
Sull’essere o no questa una calata di brache da parte elvetica, come al momento consta (e sia fatta chiarezza: sulle frontiere la pertinenza è federale, il Cantone voce non ha), molti discuteranno da qui a domani. Sul funzionamento e sull’efficienza del sistema di controllo di cui viene rivendicata la modalità, invece, si ha già contezza: ai valichi presidiati, nella migliore tra le migliore delle ipotesi, o formazione di colonne dalla lunghezza sesquipedale (in forza dei semplici tempi di ostensione dei documenti durante il transito ai punti di valico) o cedimento strutturale delle figure deputate al controllo (ed è accaduto stamane, come confermano testimoni, al valico di Lugano quartiere Gandria su Valsolda in provincia di Como; persone rispedite indietro, poi lo sblocco); ai valichi non presenziati, mistero dacché è del tutto improbabile che nel volgere di poche ore sia organizzato, attrezzato e dispiegato un dispositivo sufficiente per la copertura di oltre 20 varchi compresi quelli già sotto ordinaria gestione. Ma no: con una definizione che potrebbe ispirare ironia se la situazione non fosse seria, “le autorità italiane effettueranno controlli al fine di fare rispettare le decisioni prese dal loro Governo (ed) installeranno un sistema di monitoraggio alle frontiere della zona di sicurezza, compresa la frontiera nord, e questo per verificare che abbiano luogo solo gli spostamenti autorizzati”. Non solo: analoga strategia è stata concertata con la parte svizzera, a “modalità di impiego (che) saranno definite nelle prossime ore”; come precisato in conferenza-stampa a Bellinzona da Christian Vitta, alla Polcantonale è stato demandato il coordinamento del supporto per uomini e mezzi “qualora necessario”, e da qui dinamiche di attuazione con maggior numero di presidi “al fine di avere una visione di insieme sul transito dei frontalieri ed affinché il flusso sia rispettoso” delle disposizioni.
Di più: sui datori di lavoro svizzeri viene caricato l’obbligo di informare i collaboratori circa queste disposizioni. Precisazione sempre da Christian Vitta, ed anche qui si profila un motivo di contenzioso (collaborazione da parte italiana, su questo aspetto? Mmhhh): “Vietato l’afflusso di persone per ogni altro motivo che non sia quello professionale e lavorativo”. Eggià: tanto sanno a Roma circa i rapporti osmotici fra Lombardia e Vco da una parte e Ticino dall’altra che nell’impalcatura decretale di Giuseppe Conte, presidente del Consiglio della Repubblica italiana, che si sono dimenticati di quanti, ad esempio, passano in Svizzera per studi post-obbligatori o universitari; tale aspetto sarebbe “in fase di definizione”, dicono da Bellinzona ma senza riscontro sull’altro fronte. Quanto ai permessi “G” in essere, come da aggiunta per voce dello stesso presidente dell’Esecutivo e di Raffaele De Rosa, consigliere di Stato con titolarità su sanità e socialità, alle aziende la raccomandazione di attuare lo “smart working” per quanto possibile e di far giungere sul posto di lavoro solo i frontalieri “strettamente necessari”. Frontiera aperta, infine, anche per il traffico merci; e, quindi, per quanti siano addetti al loro trasporto ed alla loro gestione, con rischio di “affaire à suivre”.