Home CONFINE Frontiera, quattro fermi per sospetto riciclaggio. Su un assegno… folle

Frontiera, quattro fermi per sospetto riciclaggio. Su un assegno… folle

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Cifre da capogiro, ma sempre nella mera forma scritturale cioè su un semplice titolo di credito – detto “sine nobilitate”: assegnuccio – la cui spendibilità è tutta da verificarsi, quelle costate il fermo a quattro uomini intercettati due settimane or sono (ma i fatti sono emersi solo oggi in cronaca) da effettivi della Guardia italiana di finanza, gruppo di Como-Ponte Chiasso, luogo degli eventi il valico di Vacallo frazione Pizzamiglio su Maslianico in provincia di Como e, più precisamente, appena oltre gli spazi doganali all’uscita dal territorio elvetico. Nel registro degli indagati, giacché sospettati di riciclaggio in prima battuta, sono finiti soggetti che a primissima vista più diversi tra di loro non potrebbero essere: Alì Khannariak Ghazvini, 38 anni, cittadino iraniano da Teheran e che fonti consultate dal “Giornale del Ticino” indicano tuttavia residente nella zona di Göteborg (Svezia); Giuseppe Zinnà, 56 anni, cittadino italiano residente a San Calogero, provincia di Vibo Valentia; Karim Yussufi, 61 anni, cittadino afghano residente a Bonn (Germania); Simone Baglioni, 45 anni, cittadino italiano abitante a Campi Bisenzio, in provincia di Firenze.

Ricostruzione di massima circa quanto accaduto: il quartetto, a bordo di una “Alfa Romeo 166” guidata da Giuseppe Zinnà, giunge in frontiera; in presenza di dichiarazione verbale circa il rispetto delle norme valutarie tricolori, invito ad aprire i bagagli, e qui le sorprese: documento “di interesse valutario” nelle disponibilità del conducente, assegno bancario da 100 milioni di euro in quelle di Alì Khannariak Ghazvini, in verità semplice latore del titolo che risulta emesso a Ginevra, uffici del “Credit Suisse”, a beneficio di Alì Asghar Moradi, di cui si dirà a breve; l’assegno, per essere precisi, è datato 5 ottobre 2018, superati dunque i 365 giorni di validità ufficiale, da qui il dubbio sull’esigibilità (ma, si direbbe, al momento tale aspetto è davvero secondario). In linea di massima, l’assegno sarebbe dovuto servire quale supporto finanziario (insomma, come garanzia) per un contratto di vendita di rilevanti quantità di Tbc, sigla che in questo caso sta per “The billion coin” e non per tubercolosi, e dunque si sta parlando di valute criptate sulla scia di “Bitcoin” e confratelli; ma, al di là del suono simile, fra la singola unità Tbc e la singola unità Btc corrono differenze abissali, non foss’altro che la seconda gode di credibilità mentre sulla prima circolano messaggi inquietanti, e fuor di metafora il termine ricorrente è “fuffa” sconfinante per rima in “truffa”. Contraenti di vendita ed acquisto, e qui la storia diventa kafkiana, risultano essere il già citato Alì Asghar Moradi e tale Nawkhasi Mosayeb o Mosayebi, iraniano il primo come abbiamo visto, iraniano anche il secondo. Cioè? Cioè, il quadro sarebbe questo: un iraniano vuole comperare valuta virtuale, e per tale motivo negozia con un altro iraniano ma per tramite di terzi, e questi terzi sono un calabrese, un toscano, un iraniano che sta (pare) in Svezia ed un afghano che sta (pare) in Germania, e la garanzia è un assegno (scaduto) formalmente emesso da primario istituto di credito elvetico e con l’appoggio di altre cose scritte, e l’avventura del quartetto di mediatori e/o cointeressati finisce 30 metri oltre la linea di frontiera tra Vacallo e Maslianico. Mah.

Circa la spendibilità dell’assegno, qualcuno tra i partecipanti al viaggetto interrotto dagli uomini della Guardia italiana di finanza si sentiva certo ed in una botte di ferro: insieme con il titolo da 100 milioni di euro ecco comparire infatti una lettera di cui sarebbe mittente un funzionario del “Credit Suisse” a Ginevra, fiiale di avenue Louis-Casal, e su cui sarebbe indicata a chiare lettere la possibilità di ritirare il denaro “nelle Citibank europee”. Non basta: altra carta, e qui si parla di 15 fogli redatti in tedesco ed in inglese, con procura data all’afgano Karim Yussufi in quanto delegato di Nawkhasi Mosayeb o Mosayebi. Altro? Altro, ma certo: in un mare di fogli e foglietti che dovrebbero avvalorare altri fogli e foglietti spunta persino un altro contratto, stavolta sottoscritto da Alì Khannariak Ghazvini. Un contratto, per che cosa, stavolta? Udite udite: una volta incassati i 100 milioni di euro “dovuti” in ragione dell’assegno bancario, Alì Khannariak Ghazvini avrebbe pagato una provvigione o un saldo – lo si computi come si vuole – da 14.5 milioni di euro ai due italiani che erano in viaggio dalla Svizzera all’Italia, cioè Simone Baglioni e Giuseppe Zinnà. Cose che accadono di sicuro tutti i giorni davanti ad uno sportello bancario, come no. Una cosa, in mezzo a cotanta aleatorietà, è fuori di dubbio: i precedenti (ed i correnti) di Giuseppe Zinnà. Che fu indagato e condannato per traffico internazionale di sostanze stupefacenti (“Operazione decollo” della Direzione distrettuale antimafia in Catanzaro, anno 2004), peraltro potendosi felicitare dell’essere scampato a proiettili vaganti e miranti, a differenza di quanto avvenne ad almeno due altri capibastone della struttura criminale. Oh, non solo: la stessa persona compare tra gli indagati nell’“Operazione Caorsa”, identica area, anno 2008, riferimento principe le attività di usura per cui tuttavia Giuseppe Zinnà, al pari di altri otto persone, non sarà perseguito in forza dell’intervenuta prescrizione.