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Addio ad Alcide Bernasconi cronista, l’Abc del nostro fare giornalismo

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18 anni addietro, al tempo dell’approdo alla meritata quiescenza, aveva promesso che la sua penna sarebbe rimasta al servizio del Ticino, anche fuori dalla “comfort zone” dello sport che poi, se si prende sul serio il lavoro e cioè si ha voglia di andare oltre il risultato ed oltre l’intervistina svogliata al discatore dalle 20 parole messe in croce, di confortevole ben poco ha; e tale impegno egli mantenne, la Grande Lugano – quella aggregata: di essa conosceva la topografia sino ai viottoli scomparsi – come territorio di caccia e di indagine; la sua rubrica “Il giro della Lüzina” sul CdT (chi abbia dimestichezza con la tradizione vernacolare capirà al volo) era un richiamo alla riflessione, il suo “Sportivamente” su “Azione” era racconto e testimonianza; “tòpos” irrinunciabile la sua memoria cui non di rado il cronistame anagraficamente più giovane ricorreva in prestito, “Wikipedia” scànsati. Ecco: abbiamo dato qui i particolari prima della notizia, in urto alle solite regole di cui stamane men che mai ci interessa, perché del collega Alcide Bernasconi si stenta ad accettare il decesso annunciato nelle scorse ore, e figurarsi a metabolizzare tale luttuoso evento. Alcide Bernasconi, “A.B.”, una sigla con cui principia il vocabolario e che nel tempo si era resa marchio di fabbrica, l’“Ipse dixit” sì ma non cattedratico; nel senso che restava lecito il dissentire da qualche tesi di Alcide Bernasconi, mentre semplicemente stupido era l’ignorarla. Tradotto: o come premessa o quale atto finale, “Némm a vidé sa l’ha scrivüü su l’Alce”; e felice, sempre, chi nelle parole del veterano trovasse conferma al proprio pensiero.

Avrebbe compiuto 81 anni nell’aprile prossimo, Alcide Bernasconi, praticante al “Corriere del Ticino” dal gennaio 1968 e dunque quando ai Servizi demografici erano disposti a riconoscergli 22 primavere mentr’egli da adulto adultissimo, per logica e per chiarezza di ragionamento e per maturità (e sì, anche per quella strana e misconosciuta competenza che si chiama cultura), stava affrontando il cammino nel mondo della stampa. Oh, Alce: cronista tifoso, eccome se era tifoso; ma tifoso del Ticino, dell’essere ticinesi “naturaliter”, e pertanto volando egli sopra le partigianerie da vallerani contro città e città contro vallerani. Non a lui parve scandalo il professionalizzarsi del mondo sportivo, non a lui sembrò improprio l’andare a cercare all’estero quel che in casa non si trovava; legittimo però il suo deprecare sprechi, ondivaghezze, inconcludenze ed inefficienze; sicché un suo dubbio, una volta che fosse stato messo nero su bianco circa le capacità di questo o quel tizio alla transenna, era in pratica il primo paragrafo della lettera di licenziamento. “Signor Bernasconi” (strano, vero? Il “tu” indistinto da colleganza imponeva un’eccezione, nel caso di specie), “signor Bernasconi, perdoni il disturbo a quest’ora, ma non trovo nessuno che mi confermi che…”, ed a questo punto la voce dal’altra parte della cornetta giungeva ad interrompere: “Limogé, limogé…”. “Ma non le ho nemmeno posto la domanda…”; e di rimando: “Perché, non volevi sapere se hanno licenziato quel tipo?”; “Eh, sì”; “Allora ciao”.

Dovunque stesse andando il disco, diciamo al 50 per cento grazie a buone fonti consultate ed al 50 per cento in forza dell’intuito, Alcide Bernasconi c’era già o arrivava prima del disco. Ed il disco, materiale il vinile al posto della gomma vulcanizzata, era dominante anche in un altro suo campo di interesse, la musica, genere “country” soprattutto, genere “country” dappertutto, a Merle Haggard il giusto tributo anche quale alfiere della “working class” tuttavia non inscatolata nei parametri tipoideologici; le note contavano, i testi ancora di più, potendosi rilevare l’evolversi della società più da un mutare d’impronta negli States rurali che dalla saldatura BosWash; e fu questo uno dei temi sottostanti il programma “Country&folk” condotto per 27 anni di fila – ultima emissione domenica 17 giugno, canonico accompagnamento da domenica in seconda serata – sulle frequenze Rsi. Ed occhio ad interloquire con termini inappropriati o sulla falsariga dei luoghi comuni: ma quale “deep America”, la “deep America” è un concetto inventato da chi l’America nemmeno ha visto; e siano dannati gli stereotipi (ora che siamo sull’argomento, altra cosuccia da lui detestata: l’articolo in versione temino, il compitino eseguito tutto cucci cucci). In ultimo: per arrecar disturbo o dispiacere ad Alcide Bernasconi altro non si sarebbe dovuto fare che il ridurre la musica “country” a fenomeno paesano; improbabile che qualcuno in tal modo si sia mai espresso, almeno in presenza di colui; sarebbe stato un atto di gratuita malevolenza.

Addio dunque ad Alcide Bernasconi, cronista: in sigla, l’Abc del giornalismo.