Attraversò un’epoca tumultuosa, per i suoi (era un conservatore, chissà se in tempi recenti si riconosceva ancora vicino alle posizioni dei neocentristi giàp che dei Conservatori sarebbero epigoni) e per la politica cantonale “in genere”: per dire, approdò in Consiglio di Stato nel 1968, anno nel cui marzo un manipolo di studenti andò ad occupare la celebre “aula 20” della “Magistrale” a Locarno, quand’egli sedeva in Bellinzona governativa da meno d’un paio di mesi; per di più, l’accesso al seggio fu conseguenza delle dimissioni del collega Angelo Pellegrini, ammalatosi dopo essere stato bersaglio di furibondi attacchi mediatici da sponde liberalradicali prima e socialiste in successiva sovrapposizione. Per sette anni, alle procelle dell’Esecutivo e trovandosi al timone del già Dipartimento giustizia-polizia, scampò Alberto Lepori, venuto a mancare iersera a Massagno mancandogli meno di tre settimane al 95.o genetliaco, identico il luogo benché per schema patriziale egli fosse capriaschese di Lopagno, nipote di Giuseppe Lepori consigliere federale fra il 1954 ed il 1959, a Massagno legatissimo anche per ruoli istituzionali (consigliere comunale dal 1956 al 1964 e dal 1976 al 1980, municipale dal 1964 al 1968), politicamente espressosi anche nel Legislativo cantonale (1959-1968 e 1983-1991). Formazione quale giurista con canonici laurea e dottorato all’Uni Berna; ingresso in avvocatura e notariato nel 1957; frequenza della facoltà di Scienze politiche alla “Cattolica” di Milano (1960-1963); in gioventù, presidente di varie realtà tra cui l’associazione “Gaunia” a Lugano, la “Gioventù cattolica ticinese” e la “Guardia Luigi Rossi”, indi vicepresidente della “Lepontia cantonale”; celibe impenitente, impegnato nella pubblicistica anche come direttore responsabile del quotidiano “Popolo e libertà” e del settimanale “Il guardista” che qualcuno ricorderà nella versione ultima come “Politica giovanile”. Le esequie saranno celebrate venerdì 17 ottobre a Massagno.