È finita male, ma di un male che fa male, di un male che scatenerà ondate di fiele, di un male che è veleno in colata copiosa non già sull’esercizio corrente (nello sport, chi gradisca parlare di sport, si vince e si perde, si gode e si soffre, si impugna un trofeo e si retrocede) ma sulla storia stessa della società. Tra ondate di amarezza e sussulti di orgoglio che spargono sale sulla ferita aperta si chiude, alle ore 10.30 di un mercoledì d’inizio ottobre e cioè un mese soltanto dopo l’inizio del campionato, l’esperienza di Luke & Duke indigeni al timone di un AmbrìPiotta smarritosi da tempo nell’identità di “club” e da ultimo nei risultati della prima squadra, al momento penultima nell’hockey di National league (due vinte, 10 perse, peggior difesa, terzo peggior attacco): stroncato l’allenatore, stroncato il direttore generale, entrambi esautorati (tale la percezione, dal che l’uscita di scena) ancorché non esonerati (dichiarazione di Filippo Lombardi, ancora nel ruolo di presidente e circa l’“ancora” ci si spiegherà tra breve) ma di sicuro messi nella condizione di non poter più operare con serenità stanti i contatti presi dai vertici societari con altri soggetti per un immediato subentro sulla panca, e come primo nome circola da ieri quello del 48enne Christian Dubé dall’impressionante “curriculum” quale agonista ma non propriamente trionfante nel decennio ultimo tra scrivania e transenna al FriborgoGottéron, nell’aprile scorso la fine dell’idillio.
Luke ossia Luca Cereda e Duke ossia Paolo Duca, con tanto di giacca aziendale cioè dell’azienda di cui sono al momento dipendenti ma non più nelle funzioni conosciute, si sono raccontati stamane nella conferenza-stampa convocata sui due piedi – beneficiari alcuni ma non tutti: si direbbe che all’ufficio-stampa esista una lista di proscrizione delle testate giornalistiche non allineate e non allineabili – per tappare la falla ormai evidente nelle opere vive del naviglio incagliatosi. Entrambi hanno sottolineato di aver vissuto questi anni come un onore soprattutto, l’uno sentendosi “enfant du pays” e l’altro idem; entrambi hanno fatto capire di essere fieri di qualche risultato conseguito e tristi per un epilogo in cui, ecco, chiarezza di orientamenti altrui essi non hanno colto; a sorpresa, anzi, le rasoiate sono giunte soprattutto dalle labbra di Paolo Duca (“Ci avete tagliato le gambe”, “È stata una pugnalata alle spalle”, “La decisione di non andare avanti è vostra, non nostra”), il tutto avendo trovato conferma le voci di abboccamenti fuori Cantone e con altri soggetti. Abboccamenti indirettamente confermati da Filippo Lombardi, che si è autoattribuito una patente di “ingenuità” nel non aver dato peso alla possibilità di fughe di notizie, come è accaduto e come è stato; il presidente si è figurativamente preso a schiaffi “coram populo” per il non aver “saputo comprendere e gestire” quanto si stava via via materializzando e nemmeno il rapporto umano – un vincolo da gente che è stata insieme in battaglia, s’osa mettere nero su bianco pur dandosi sempre allo sport la dimensione che esso ha – tra Luke e Duke, tra l’altro accomunati dall’età e dai percorsi. Ciascuno con la propria vita, e i mancherebbe altro, ma in simbiosi concettuale, discatoriamente parlandosi.
“Parting ways for their own well-being”, mormorano in lande d’Oltreatlantico, con formula che è falsa e bugiarda quanto gli dèi menzionati da Publio Virgilio Marone all’incontro con Dante nell’Inferno; ma potrebb’essere un’idea bislacca, venerdì sera si vedranno la reazione della squadra – “pro tempore” nelle mani di Éric Landry (con due figli, Éric Manix Landry ed Éric Lukas Landry, nei blocchi offensivi) e di Louis Matte – e soprattutto del pubblico, essendo nella circostanza avversario l’Ajoie unica compagine ad aver sinora fatto peggio dei biancoblù. Difficile il prevedere quale sarà l’accoglienza a Filippo Lombardi, sempre che e qui i “sempre che” sono legioni: da referente primo ed ultimo della società, egli ha manifestato infatti la disponibilità a rimettere il mandato; nelle mani di chi, vai a capire, ché un candidabile alla successione non esiste nemmeno su Marte. Difficile anche l’ipotizzare chi sia disposto a prendere le redini del gruppo senza pretendere un ricambio laddove qualcosa si possa cambiare, cioè eliminandosi i doppioni ed investendo in risorse che siano risorse… ah, ma già: con quali risorse, con quali denari, se l’ultimo consuntivo è stato deficitario per la misura di 1’000 franchi il giorno in ogni giorno dell’annata sportiva, se il “budget” è spremuto, se molti tra i tifosi si considerano ormai vacche munte e da mungersi, se primario motivo di preoccupazione è il dover restituire i “prestiti Covid-19”, se vaghe sono per ora le risposte all’appello all’aumento di capitale?
Sì, siamo al “redde rationem”. E non solo sul ghiaccio.