Si era sulla metà del luglio del 2017 e la allora consigliera federale Doris Leuthard fu beccata – non per caso – a spingere il carrello nei corridoi della “Unes” di Maccagno con Pino e Veddasca, provincia di Varese, prima superficie della grande distribuzione organizzata oltre il valico di Dirinella. A dar notizia e foto – inquadratura frontale, nulla di equivocabile anche se qualche malevolo provò ad insinuare il dubbio d’un falso costruito ad arte – fu “Il Giornale del Ticino”, otto righe messe lì, del resto non erano ignoti i frequenti soggiorni vacanzieri di Doris Leuthard in quel del Gambarogno. Gli è che proprio nelle stesse ore tale Johann Schneider-Ammann, nel massimo gremio in ruolo di collega della summenzionata ancorché d’altro accento politico trattandosi nel primo caso d’una popolare-democratica (neocentrista giàp, si direbbe oggi) e nel secondo d’un liberale-radicale, tuonava contro il “turismo degli acquisti” a ridosso della linea di confine, e prometteva di abbattere i prezzi al di qua della frontiera soprattutto sui beni banali ovvero sui generi dalla prima necessità ma nel frattempo raccoglieva consensi ed appoggi trasversali da soggetti ben orientati alla difesa del “suum particulare”, laddove “suum” si confermava leggibile in duplice modo; nel tempo della recita di tre Paternoster fiorirono raccomandazioni di genere vario, tra di esse persino la riduzione della franchigia sull’Iva da 300 a 50 franchi quale modalità strategica al fine di comprimere il pendolarismo della spesa.
Sette anni trascorsero da quel dì in cui Doris Leuthard se ne disse probabilmente d’ogni colore, pensando nel frattempo a quelle che non poteva dire a Johann Schneider-Ammann. Mutati gli attori e senza particolare rammarico altrui, giusto oggi a Berna sponda Consiglio federale hanno scelto di rispolverare quell’antico proposito, ed una mannaiata sull’esenzione Iva (conoscete tutti i termini e le procedure, sull’ovvio non stiamo qui a far flanella) prefigurano ora con attuazione alla prossima notte di San Silvestro. Non più 300 franchi ma 150, dunque, pro quota cranica e sempre con riferimento a quel che va nel consumo privato; qualcuno è dunque convinto della tesi secondo cui tale provvedimento risulterebbe giovevole, del che qui si è ben poco se non per nulla convinti. Trattasi peraltro degli stessi soggetti che non batterono ciglio quando Roma decise di ridurre la soglia – taglio drastico: da 154.94 a 70.00 euro – per il rimborso dell’Iva con riferimento a spese fatte su suolo italiano, ed è storia del febbraio scorso. Si dirà che del massimale a 150 anziché a 300 franchi è investita l’intera Elvezia e non soltanto l’area di frontiera che ci riguarda; ma, per l’appunto, noi stiamo prosaicamente parlando nell’“hic” e nel “nunc”. E facciamo due conti stupidini ma a ragion veduta: da quella decisione italiana è dipeso un significativo incremento nel numero delle operazioni di rimborso su ogni valico commercialmente rilevante (riscontro cortese e puntuale, a semplice richiesta, ci viene dagli operatori dell’Agenzia dogane-monopoli giust’appunto alla frontiera Zenna-Dirinella); cresce dunque il numero dei frequentatori di supermercati e centri commerciali appena oltre un qualunque punto di confine, così come le piattaforme distributive – noti i marchi: “Carrefour”, “Tigros” (ultima apertura qualche giorno fa, a Luino in provincia di Varese), “Esselunga”, “Aldi”, “Lidl”, “Md”, “Bennet”, “Famila” ed altri – aumentano di numero pur dovendosi rilevare un primo fenomeno di cannibalizzazione da cui molti usciranno con le ossa rotte (tra Varesotto e Comasco, per stare ad esempi egualmente freschissimi, la catena “Eurospar” acquisita solo nel dicembre 2023 dal “Gruppo Fantinato” è al collasso con due sole strutture rimaste aperte, entrambe a Varese, mentre sono state abbandonate una terza unità nel capoluogo e supermercati a Ponte Tresa, a Sesto Calende, a Ternate, a Bizzarone ed a Carbonate).
Non avendosi facoltà predittive oltre ciò che è intuizione logica, constateremo soltanto che il legislatore ha pontificato a danno del consumatore e che il consumatore, cui spetta il diritto di spendere i soldi dove meglio egli creda ma facendo per bene i conti (nel senso che su una bella quota dei prodotti di largo consumo non vi è gioco che valga la candela), avrà già concepito un paio di “escamotage” per azzerare gli effetti del provvedimento. In compenso, e dal momento che nessuno ha diritto di obbligare il cittadino ad inquinare la sua giornata con altre diavolerie elettroniche, crescerà soltanto il peso della burocrazia cartacea e delle pratiche che rimangono in sospeso per altrui inadempienze. Evviva.