L’alba in ValleMaggia è oggi silenzio, stupore, incredulità. Silenzio, in questo Capodanno della seconda parte del 2024, rotto dai primi transiti – un furgone bianco che slitta da nord verso sud, due turisti infreddoliti che già si affidano al propulsore della “e-bike” – sotto la trincea di Maggia frazione Riveo, dove il “315” della Fart arriva a vuoto carico e sterza a 180 gradi e si rimette sulla via di Locarno, in corrispondenza della pensilina di Riveo-paese il nuovo capolinea imposto dagli eventi. Stupore, di qualcuno che arriva “da fuori” e non sa, o forse ha intraudito ma non ha inquadrato i fatti nello specifico contesto, e pone domande che alle orecchie altrui sembrano stupide, incoerenti, com’è possibile che non si capisca che no, è cambiato tutto, “di là” non si va, “di là” non c’è modo di andare? Incredulità infine, incredulità nel momento in cui si prova a metabolizzare il gravame di morti accertate (tre) e di vittime temute (un disperso su su a Peccia; ma di quanti, in soggiorno temporaneo, non si aveva né si ha dunque contezza?) e si prendfe atto della cesura fisica tra chi sta sotto Cevio ed in un attimo aderisce al più vasto consorzio umano e chi la libertà di movimento e di relazioni, dalla sponda sinistra dell’alveo per chi guardi la cartina ma è la destra secondo il corso delle acque, improvvisamente ha perso, recluso com’è senza un supporto fisico che possa garantirgli il transito verso Visletto, nucleo aggrappato all’altra spalla del ponte crollato e ridottosi a moncone nella notte tra sabato e ieri; già, Visletto, uno dei posti cui per solito si butta un’occhiata distratta tra curva e controcurva, a men che s’abbia da conferirsi qualche inerte alla discarica, tappa obbligata il venerdì e lì il Marino ad accoglierti con il suo vernacolo aspro eppure rotondo e con la sua particolare auto da uso quotidiano; ad aver voglia di cercare, però, proprio addossato alla roccia sta un tempietto in pietra, quattro i nomi ed i cognomi (uno da Orselina, uno da Locarno, uno da Avegno ora parte di Avegno-Gordevio, uno da Solduno che al tempo era ancora Comune autonomo) di persone perite “nei gorghi di questo fiume”; data è il giovedì ultimo d’un secolo e un mese or sono, invero accidentale – l’urto di un camion militare contro un treno-merci che deragliò e precipitò nel vuoto – la causa del dramma; la Maggia, così sta nelle cronache, era in piena e per Luigi Adamina, Francesco Catti, Pierino Zamaroni ed Enrico Maggini, tutti “agenti della Ferrovia” che era poi la “Valmaggina” da Locarno a Bignasco via Ponte Brolla, scampo non vi fu.
D’un fiotto, irrompenti e dirompenti, le sensazioni che prendono corpo al vedersi quel che è ed al confrontarsi ciò con quel che era: perché la dimensione collettiva del territorio – la sua unitarietà geografica, culturale e sociale, potremmo e dovremmo dire – è stata infranta da un solo colpo, secco, nel punto di forza della coesione vallerana che era affidata a quei 300 metri lineari, passaggio quasi nemmen più percepito come tale, sino all’altr’ieri. Ed invece: Bassa e Media ValleMaggia, per volontà non degli uomini ma della Natura, sono tornate ad essere entità distinte, a parte la passerella ciclopedonale che una provvidenziale intuizione condusse a generare sul percorso della fu “Valmaggina”, nell’aprile 2021 l’avvio dei lavori, a fine maggio 2022 la conclusione del cantiere, tre metri tre la larghezza della piattabanda a saldo tra le vie di accesso all’abitato di Cevio, da un lato, ed il Visletto sul fronte dell’oratorio titolato a san Defendente soldato martirizzato, dall’altro. Il filo è sottile, ad esso ci si lega: sino a che i genieri dell’Esercito o taluni in loro vece abbiano trovato una soluzione provvisoria in attraversamento, alternativa non c’è per la valle chiusa. E poi: non potendosi arginare la Maggia nemmeno infossandola come un canalone, non potendosi logicamente generare un diverso percorso stradale in sponda (si scrive “logicamente”: in via tecnica tutto sarebbe possibile, a sovrappasso con viadotti lunghi chilometri e chilometri), quanti, quanti ora si stanno interrogando sui progetti messi in campo e sospesi e riletti e reinterpretati ed abbandonati e ripresi o riorientati o affatto nuovi, da oltre 60 anni a questa parte, finalità il rendere la ValleMaggia accessibile anche da nord: l’avevano forse pensata giusta, Aldo ed Alberto Guscetti fratelli, l’uno architetto e l’altro ingegnere in quel di Quinto frazione Ambrì, prefigurando una galleria stradale da 2’700 metri dalla Val Sambuco all’Alpe di Prato, portale primo a Campo ValleMaggia zona Campo Sotto e portale secondo al Pian Taiou cioè perforandosi la montagna sotto il Passo del Sassello? Era forse da attribuirsi maggior sostegno allo studio di fattibilità di fonte Ustra, anno 2016 con parziale ripresa nel “Masterplan” della ValleMaggia l’anno dopo, in forma e struttura di una galleria stradale da 7’800 metri tra Lavizzara frazione Fusio e Prato Leventina frazione Rodi? E, al tempo in cui fu dato corpo alle tre “famiglie” di soluzioni tecniche per un possibile collegamento tra Alta ValleMaggia e Leventina (o collegamento stradale, o impianto a fune: si parla dell’ultimo lustro), ebbe realmente luogo una valutazione secondo il “What if?” anziché sulla scorta di un’analisi quantitativa dalla quale emerse l’incrollabile determinazione a prospettare la sola variante funiviaria, intesa come “massimo risultato al minimo rischio” (ed alla minor spesa, certo)?
La cronaca dell’altr’ieri ci ha dato una risposta, piaccia o non piaccia, vogliasi o non vogliasi: non la funivia, ma il collegamento con un “tunnel”, valida l’ipotesi da Lavizzara frazione Fusio alla Cantonale su Airolo frazione Nante. Ci si occuperà in altro momento – magari oggi stesso – degli aspetti tecnici e dei particolari progettuali; si dice sin da ora che sì, la ValleMaggia e le sue collegate perdererebbero e perderanno una specificità storica. Davanti ai fatti, ed alla necessità di garantire il presente ed il domani del territorio e di chi sul territorio vive e lavora, possiamo affermare soltanto che sentimento è sentimento, vita è vita. E che dispiace per qualcosa cui si rinuncia, ma di più dispiacerebbe se Visletto si trasformasse nelle Colonne d’Ercole, il Marino messo a presidio come uno Schiller guardiano al carcere dello Spielberg, oltre non si va, e dall’oltre non si viene.