Home CRONACA L’editoriale / Urlano al neonazismo. E negano la libertà di parola

L’editoriale / Urlano al neonazismo. E negano la libertà di parola

355
0

Montare la panna su un gesto dimostrativo è sport antipatico, soprattutto in nazioni – tra cui corre voce ci sia la Svizzera – nelle quali sussiste un diritto alla libera parola. Articolesse per loro natura sproloquianti e blablablà con striduli accenti si susseguono, in queste ore, circa l’atto compiuto da un gruppo di affiliati all’organizzazione “Junge Tat” che sabato, dalla “Torre bianca” del Castelgrande, srotolarono uno striscione con la scritta “Migranti, a casa”, spiegando poi l’azione con un video in cui il Ticino viene indicato come “hotspot” dell’immigrazione di massa. La tesi – una richiesta al Consiglio federale affinché i clandestini non aventi diritto ad alcuna protezione umanitaria siano messi fuori dai confini; in altra sede bersaglio erano stati gli stranieri macchiatisi di crimini – può piacere o non piacere; discusso che eventualmente si sia sul maggiore o sul minore effetto della perentorietà dei toni, il discorso rientra ad ogni modo nell’alveo delle facoltà di espressione; ed a tutt’oggi, benché qualcuno l’abbia anche scritto (e lo si è letto persino su una testata giornalistica quotidiana d’oltrefrontiera), non consta che “Junge Tat” sia organizzazione neonazista o vicina all’ideologia neonazista e non consta che siano stati presi provvedimenti contro i simpatizzanti e/o contro i membri del gruppo medesimo in quanto simpatizzanti e/o membri (altro paio di maniche sarebbe – ovvero è – quel che rientra nella sfera della responsabilità individuale). Quanto ai presunti collegamenti con realtà antidemocratiche al di fuori dal territorio svizzero, chi abbia informazioni certe e documentate le metta sul tavolo; ma non sul “Si dice”.

C’è, si ripete, chi dell’equazione “Junge Tat” uguale neonazismo si fa forte, e rivendica documenti testuali a comprova: in fondo, lo afferma anche “Wikipedia”, inserendo questa formazione nella lista delle organizzazioni e dei partiti dell’Estrema destra. Che in Svizzera sarebbero cinque, uno dei quali non più attivo per autoscioglimento (ed è ovvero era il Pnos) mentre di un altro non sono note le sorti (e si tratta del “Patriotische Front”); tra i sicuri viventi o sopravviventi, insieme con gli “Junge Tat”, figurano allora due sole identità, la “Résistance helvétique” e… gli “Schweizer Demokraten” ovvero quei “Democratici svizzeri” che erano talmente pericolosi da poter sedere in Parlamento a Berna ed in vari Legislativi cantonali e comunali e da aver condotto battaglie a viso apertissimo contro i rischi di adesione all’Unione europea ed a tutela della neutralità svizzera. Ai “Democratici svizzeri” è attribuita la patente dell’odio verso gli stranieri e dell’etnorazzismo; su “Résistance helvétique” vengono fatte gravare le accuse di neonazismo, di odio verso gli stranieri e di islamofobia; “Junge Tat” è seccamente dichiarato come neonazista. Convergenza di giudizi, dunque; ma per ciascuna casella la fonte è quasi sempre una sola, e politicamente orientata, e magari a sua volta oggetto di osservazione (nel senso delle controversie) e con risvolti anche in sede giudiziaria. Oppure si ha l’evidenza dell’ennesimo giro del fumo: io produco un articolo tacciando Tizio di neonazismo, e quale base prendo l’articolo scritto su Tizio da Caio, e cito Caio a comprova; Caio, a sua volta, ha costruito la storia su due spunti tratti da Sempronio, che a suo tempo ha scritto una ponderosa riflessione su Tizio; accade però che la ponderosa riflessione sia formata per il cinque per cento (cinque righe) da notizie su Tizio e per il 95 per cento da opinioni di Sempronio. Il quale, in ultimo, risulta essere stretto collaboratore di… Caio. Sul caso di specie potremmo disegnare uno schemino con frecce e circoletti; sappiamo che vi fiderete sulla parola. Per equità, una precisazione: non è raro, proprio no, che lo stesso discorso valga anche su altri fronti.

Ma restiamo a “Junge Tat” ed all’azione condotta sabato – pare sia questo un “novum” a sud del San Gottardo – da chi in nome di “Junge Tat” si espone. Lo stesso Mario Branda sindaco di Bellinzona, che pure afferma di parlare a nome dell’intero Municipio (“Stigmatizziamo le idee portate avanti”; nell’Esecutivo della capitale, nessuno che sia di avviso diverso?), ai colleghi della “Regione” ha dichiarato: “Al momento non sembrerebbero emergere elementi di carattere penale… Non sono state proferite frasi punibili dalla norma contro la discriminazione e contro l’incitamento all’odio… Sembrerebbero non esserci stati danni al monumento”. Insomma, il nulla del nulla, nemmeno un fazzoletto di carta gettato per terra. Quanto scorno per gli urlatori, quanto.