Sulle etimologie raccomandava di non innamorarsi dei “falsi amici” e, in rari sprazzi pubblici di ironia (oh, ma se ne aveva, nel privato), di non prendere troppo sul serio nemmeno quel che usciva dalle sue labbra e nei suoi scritti; non perché non ponesse e non avesse posto la massima diligenza nelle ricostruzioni, ma perché le parole, anche quelle più banali, nascondono una straordinaria attitudine a prendere in giro chi cerchi di squadernarle. Di questa e di altre storie non s’avrà più contezza dalla voce di Ottavio Lurati, linguista ticinese la cui esistenza terrena si è chiusa nelle scorse ore a Collina d’Oro frazione Montagnola, 85 le primavere, sterminata la produzione letteraria – una cinquantina i volumi, a centinaia gli articoli e le dissertazioni, non volendosi dire dei contributi ad opere altrui e delle collaborazioni prestate – in vari àmbiti, con un’attenzione particolare alla toponomastica (“Ferrea traditrice”) indagata in lungo e in largo e, non di rado, con tagli netti ai nodi gordiani. Da docente (Liceo cantonale in Lugano e Uni Basilea, tra l’altro lo stesso ateneo in cui aveva conseguito il dottorato), Ottavio Lurati nato a Chiasso e d’ascendenza malcantonese in quel di Croglio al tempo Comune autonomo seppe essere rigoroso e nello stesso tempo aperto a letture ed interpretazioni altrui anche su testi per lui sacri quali erano la “Vita nova” e la “Commedia” dantesche. Quasi inutile il dire dell’apporto diuturno e martellante al “Vocabolario dei dialetti della Svizzera italiana”. Non difettò infine, Ottavio Lurati, di spirito polemico: celebre l’invettiva contro i vertici del “Festival internazionale del film” di Locarno, nel 2010, per la proiezione di alcune pellicole dal discutibile gusto.