L’idea di un ripristino, certo, c’è stata. L’idea di un parziale recupero, anche. L’idea della preservazione di almeno una parte, a mo’ di storica testimonianza, idem. Forse qualcosa sarà possibile per la spalla lato Cevio, a mo’ di testimonianza per i posteri, ma tutto qui: per motivi di sicurezza (e di contesto, del quale diremo) la demolizione era inevitabile. E stamane, dunque, è giunto a compimento l’addio a quel ponte più che secolare, o per meglio dire a quel che del manufatto era rimasto: del ponte sulla Maggia, nella fisionomia del territorio vallerano, non esistono dunque più la campata centrale e quella laterale che dava verso la località Visletto. Macchine in azione, uomini a dirigere le operazioni, uomini ad eseguire quel che restava da farsi per la traslazione dei materiali residui dopo la tragica alluvione della notte tra sabato 29 e domenica 30 giugno.
Rapidamente detto dell’essere stato conclusi solo oggi i lavori a cagione delle evidenti priorità rivendicate da altri interventi (riconversione del ponte pedonale a ponte transitabile da alcune categorie di veicoli; costruzione del ponte militare tipo “Mabey-Johnson”; definizione dei nuovi tracciati con ripristino della viabilità), è d’uopo il fermarsi allo “Spiace, ma…” conoscendosi ora quel che le perizie fatte eseguire hanno confermato: sia la parte già crollata sia quella centrale erano da rimuoversi, e alla svelta, stante il rischio di una deviazione del corso del fiume (per meglio dire: del flusso dominante delle acque, cioè del “cuore” delle acque stesse) proprio in corrispondenza della passerella ciclopedonale; il pericolo sarebbe dato – parola di esperti – dalle sollecitazioni alle pile su cui la passerella poggia. In pratica: materiali giacenti in alveo uguale canalizzazione forzata delle acque; canalizzazione uguale scarico dalla maggiore potenza su “strisce” specifiche dell’alveo. Non entriamo nei calcoli tecnici, che pure sono producibili a richiesta, ma si pensi solo a questo: a corrente piena, la Maggia può raggiungere una portata attorno ai 4’500 metri cubici il secondo; con meno della metà di tale portata, il disastro che conosciamo. E, come recita un cartello posto sul lato Cevio e lì collocato ai tempi del progetto “ValleMaggiaPietraViva”, la forza della corrente è tale da poter trascinare un masso dai lati superiori ad un metro e dal peso di oltre 4.5 tonnellate, con i danni facilmente immaginabili.
Le operazioni condotte sono ben descritte dalla foto qui proposta e dalle immagini che riportiamo sulle nostre pagine “social”. Poco altro vi è da dirsi, se non che dovremo con ogni probabilità dare l’addio anche alla spalla dell’arcata ed alla pila del ponte sul lato Cevio: in corso “approfondimenti supplementari”, come indicano fonti del Dipartimento cantonale territorio, ma dalle prime analisi consta che la pila sia “compromessa” a causa delle erosioni del fondale. Delle vecchie arcate resteranno quindi le sole pietre: le quali pietre, con dovuta attenzione, saranno recuperate ed immagazzinate per un riutilizzo nelle future opere di ricostruzione e di valorizzazione dell’area. Un “memento”, via.