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Macugnaga (Vco), autorizzazione mancante: sequestrata la pista transfrontaliera

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Autorizzazioni mancanti, procedure difformi, esecuzioni dei lavori non rispondenti ai progetti. Ci sarebbe e c’è anzi di tutto all’origine del provvedimento con cui effettivi della Guardia italiana di finanza, su disposizione di Olimpia Bossi procuratrice della Repubblica italiana in Verbania (Verbano-Cusio-Ossola), in forma preventiva hanno posto oggi sotto sequestro i manufatti, i materiali e le documentazioni afferenti all’itinerario cicloturistico – una vera e propria pista in meraviglioso contesto ambientale e culturale, tanto di più nell’impegno per una tutela delle comuni tradizioni Walser fra i territori interessati – che da Macugnaga (Vco) condurrà alla Saastal nel Canton Vallese attraverso il Passo del Monte Moro; condurrà o meglio dovrebbe condurre, stanti i primi accertamenti dell’indagine di polizia giudiziaria dalla quale sarebbero emerse sostanziali difformità rispetto al progetto che era stato presentato dall’autorità politica comunale di Macugnaga quale “stazione appaltante”. Scostamenti significativi risulterebbero sia in termini planimetrici sia in termini morfologici: come da informativa acquisita, il tracciato è stato realizzato in alcuni tratti con pendenze fra il 30 ed il 44 per cento, quand’invece il massimo concepito ed approvato in sede di progetto era ricompreso fra il 10 ed il 20 per cento, fatta eccezione per un solo picco al 26 per cento; questione non dappoco, perché – viene sottolineato – l’opera è sì concepita per quanti fanno uso delle “e-bike” ma la sua fruizione non può essere preclusa agli utilizzatori di “mountain bike” tradizionali. Sarebbe stata possibile l’introduzione di una variante al progetto? Di sicuro, con sospensione del cantiere nell’attesa della risposta; ma di una variante non risulta l’approvazione, e meglio, non risulta nemmeno che la procedura sia stata attivata.

E non è questo il problema principale, anzi. A sorpresa si viene a sapere – certo, fonte unilaterale, ma sulla scorta di accertamenti in corso da tempo e di concerto tra varie identità inquirenti – che il progetto è stato “erroneamente approvato ed autorizzato da tutti gli enti preposti” (dalla Regione Piemonte alla Provincia del Verbano-Cusio-Ossola alla Soprintendenza per archeologia-belle arti-paesaggio per le province di Biella-Novara-Vco-Vercelli). A sorpresa si apprende poi che dal “dossier” manca l’“autorizzazione di cui all’articolo 19 del Decreto legislativo numero 374/1990”, cioè il testo nel quale è fissato un concetto semplice semplice: sussiste l’obbligo di autorizzazione preventiva, da parte del direttore provinciale dell’Agenzia dogane-monopoli, per “tutte le costruzioni e le altre opere di ogni specie, sia provvisorie sia permanenti, che incidono sulla linea doganale di confine”. E cioè, per farla breve: forse nell’entusiasmo dell’aver spuntato un bel finanziamento (soldini sonanti e ballanti, l’equivalente di 1.5 milioni di franchi, da fondi “Interreg”), qualcuno sembra essersi dimenticato del fatto che, realizzandosi un percorso di questo genere, sarebbe stata aperta una nuova via di attraversamento della frontiera, “con evidenti riflessi in termini di vigilanza doganale della linea di confine”. Una svista da nulla, figurarsi. In immagine, l’avvio del sequestro delle opere.