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Filo di nota / Pompei a nudo: se non la storia, almeno si rispetti la logica…

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Iddio ci scampi da molte cose, ed in ispecie da certe scoperte archeologiche: non perché le scoperte in sé non abbiano senso, ma per il “can-can” che ci si vorrebbe far ballare intorno. Ultimo caso quello dell’affrescato di Pompei (Napoli, Italia) dal quale balza in evidenza una focaccia immediatamente rivenduta, in sede di boccalonia mediatica, quale antenata della pizza. Mozzarella e pomodoro, nella sedicente “pizza” dell’affresco appena disvelato, ovviamente mancano per ragioni di tempi nell’ideazione là e dell’importazione qua; per di più, dipinti coevi e fors’anche precedenti d’un paio di secoli – e con analogo soggetto – sono invero noti da altri luoghi. Se si vuol parlare di meraviglia per l’ultima acquisizione, volentieri; ma che ciò almeno abbia luogo nel rispetto del reale cioè del già conosciuto, e nel mondo della Roma antica già conosciuta era l’esistenza sia della focaccia di grano sia della focaccia di farro, dette l’una “placenta” (non lievitata, e con il formaggio) e l’altra “offa” (lievitata). E poi: basterebbe quel minimo di conoscenza dell’“Eneide” virgiliana per riconoscere qui una delle “mensae”, che erano per l’appunto piatti – nel senso proprio di stoviglie – prodotti primariamente con farina di farro – a volte anche con l’utilizzo di orzo o di altri cereali – e commestibili… alla disperata, cioè quando proprio la fame mordeva (e servivano buoni denti, tale era la durezza del piatto medesimo). Il resto è “marketing” buono appena per i turisti, e già non per i visitatori.