Non è un appello ma un richiamo: alla civiltà, al civismo, al buonsenso, al dovere. Al diritto di serbare una memoria e di trasmetterla, e di spiegare quel che lì accadde a chi non c’era. Locarno, via Borghese, un preciso angolo che dà su viuzza laterale: lì, in una tragica notte di inizio febbraio 2009, Damiano Tamagni venne assassinato (assassinato. Dà fastidio, vero, questo verbo?) da mani note e dietro alle quali stanno nomi precisi e mai abbastanza esecrati. Lì, a testimonianza di un “no” collettivo alla violenza cieca e brutale, fu fissata una placchetta in ricordo di Damiano; placchetta, diciamo, perché dalle dimensioni micragnose, qualcuno avrà magari pensato che era meglio rimanere su misure da mezza cartolina postale, non che il richiamo a quel morto ammazzato fosse di disturbo per le anime pure e candide. Da lì, come il “Giornale del Ticino” documentò mesi addietro, la targa fu asportata e fatta sparire; forse era da rifarsi l’intonaco, forse era da ritinteggiarsi la parete, sta di fatto che della lastricella non vi è più traccia. Nel caso il sindaco Alain Scherrer e/o qualcuno dei suoi municipali vogliano prendere a cuore la questione, bene, per rimettere quel pezzo di metallo al suo posto bastano un trapano e quattro viti e 10 minuti del lavoro d’un normale muratore; si può fare anche questo pomeriggio, volendosi. E non si venga a raccontare che la targa è finita tra gli scarti di cantiere e risulta introvabile, d’accordo?, ché esistono precisi obblighi di preservazione e di conservazione dei beni appartenenti alla comunità. Facciamo anzi così: diteci dove è quel pezzo di metallo che ci sta tanto a cuore, veniamo a prenderlo e lo fissiamo a nostre spese. Parola.