A Napoli, piazza Municipio, il fuoco ha distrutto ieri mattina una “Venere degli stracci” realizzata ed installata a misura di luogo ed inaugurata appena due settimane addietro, autore quel Michelangelo Pistoletto che è ben noto alle nostre latitudini anche per un recente evento espositivo ad Ascona e per vari interventi “in presenza” a manifestazioni e dibattiti. Per alcune ore si sono rincorse voci e dichiarazioni d’ogni genere, dall’indignazione generale tra le istituzioni alla presa di distanza collettiva da ogni forma di vandalismo, all’insegna della frase “Napoli non è questa”, agli estremi dell’associazione di idee tra il rogo ed un femminicidio (parole dello stesso Michelangelo Pistoletto) perché, e figurarsi, agli occhi di taluni era lampante la valenza annientatrice dell’atto, alla condanna di “questa società stracciona (così ancora Michelangelo Pistoletto, ndr) che ha purtroppo preso il sopravvento”, sicché il rogo sarebbe (stato) da interpretarsi “come un’autocombustione del lato peggiore dell’umanità”, del resto trovandoci noi tutti – e di bel nuovo si cita – in “un tempo nel quale si continua a rispondere con il fuoco e con la guerra a qualsiasi proposta di bellezza, di pace e di armonia”. Uh.
Sono invece bastate poche ore, agli inquirenti ed alle forze dell’ordine, per risalire a tale Simone Isaia, 32enne senza fissa dimora e che vive da “clochard”, marginalissimi precedenti di polizia, letterariamente parlandosi un tizio più sventurato che colpevole: il quale Simone Isaia, passando da lì, avrebbe cavato dai pantaloni un accendino ed appiccato il focherello, o almeno questo starebbero dicendo le immagini da videocamere. L’arresto, tra l’altro, non dopo fuga rocambolesca, non dopo una resistenza inscenata con presa di ostaggi, non all’interno di un fortino della camorra o di qualche altra realtà criminale organizzata, ma in una mensa a breve distanza dal luogo dell’incendio. Ora, pensate un po’ a quanto si è strani qui a bottega, ma siamo portati a credere di più alle evidenze di inchiesta che alle chiacchiere dei commentatori dal giudizio sempre pronto in canna e degli artisti che assumono sé stessi a metro della realtà; ché, quanto ad autoreferenzialità, bastiamo noi giornalisti e dunque gli artisti prendano un biglietto e si mettano in coda come tutti gli altri.
Battute a parte, sia contento, Michelangelo Pistoletto: l’avvenuto rogo pubblico di un manufatto effimero, e che era peraltro mera replica (in grande, ma replica) di analoghe opere da lui prodotte e tuttora esistenti, è il meglio tra quanto avremmo immaginato nel futuro dell’installazione. Guardate un po’: un “clochard” – lo straccione, absit iniuria verbis – che causa la distruzione di un oggetto dichiarato quale simbolo dell’arte povera in cui nulla è così privo di valore da non poter assurgere al ruolo di opera d’arte “in sé”, dunque compiendo lo straccione un atto apotropaico et cetera et cetera. Ma diciamo meglio, e standosi con i piedi per terra: da ora in poi, della non irrinunciabile “Venere degli stracci”, uno straccio di traccia nella memoria è garantita.