(ULTIMO AGGIORNAMENTO E RIEPILOGO, ORE 18.47) Nulla si poteva dire, stamane, che non fossero parole aggrappate all’aria, nulla si poteva offrire che non fossero lacrime ad accompagnare un debole, flebile, quasi impercettibile residuo di speranza. Né promesse né illusioni avevano dato i medici del “Cardiocentro” nel tratteggiare anziché nel descrivere – in ciò siano riconosciuti il tatto e la delicatezza delle comunicazioni – lo stato clinico di Marco Borradori, sindaco di Lugano e già consigliere nazionale e consigliere di Stato, uomo il cui sorriso si è spento per sempre alle ore 18.10 di oggi, in una camera del “Cardiocentro” di Lugano. La conferma è venuta da fonti del Municipio di Lugano con una nota stringata ed intrisa di dolore. Marco Borradori era rimasto vittima di un infarto intorno al mezzogiorno di ieri, durante la quotidiana corsa di allenamento, in prossimità del campo sportivo di Vezia. Nemmeno 36 ore dopo, nonostante il prodigarsi dei sanitari, la fine delle speranze.
In conferenza-stampa, stamane, il messaggio era stato netto, apodittico, conclusivo: siamo legati ad un filo che si sta sempre di più assottigliando, ad una fiammella che si sta spegnendo. Altrimenti detto, vi erano “danni severi” a tutti gli organi, cervello compreso. Ed i volti di Giovanni Pedrazzini e di Stefanos Demertzis, in dialogo frontale con la stampa per conto del “Cardiocentro” insieme con Tiziano Cassina direttore sanitario, erano quelli di persone che l’impossibile, tra ieri pomeriggio e la notte scorsa e stamane, avevano già fatto e fatto fare. L’accaduto ed il contesto, in parte, erano già stati proposti: Marco Borradori che non rinuncia mai alla corsetta quotidiana, Marco Borradori che anzi si sta allenando per imprimere il sospirato segno della partecipazione “civica” ad un prossimo evento collettivo in cui ci sarà spazio per gli agonisti così come per i non agonisti, Marco Borradori che percorre un tratto a ridosso del campo sportivo di Vezia, Marco Borradori che si accascia al suolo, ma nessuno assiste in diretta; sopraggiungono alcune persone, arrivano anche due operai, uno di loro vanta esperienza pluriennale nel soccorso. Si capirà poi che questo è un arresto cardiocircolatorio, ma all’arrivo al “Cardiocentro” sul cuore di Marco Borradori sarà già stato praticato il massaggio meccanico per un’ora, “cuore praticamente fermo, quadro (tipico) di un paziente che ha subito un arresto” – qui uno iato, qui una presa di respiro – “un arresto prolungatissimo”. Sùbito sotto le macchine, che permettono “di sostenere cuore e polmoni”. Il resto sarebbe stato nell’imponderabile, o meglio in una fetta di esso, lapidario il concetto: “Le cure proseguono su decisione del paziente”, chi voglia comprendere il concetto, quasi che una volta ancora – ed è stato, per qualche ora almeno, nella cifra propria del personaggio – Marco Borradori potesse provare ad essere autore della sua fortuna. Quelle macchine, già, non sarebbero restate in funzione sino all’eternità; si trattava allora di capire – lì l’uscita dal referenzario medico, lì il confronto con il reale, mentre via via più netto stava diventando il responso clinico – se ed in quale misura la fibra sarebbe riuscita a far rialzare l’asticella di una vita da primatista, volto al vento, una serenità interiore finalmente avvicinata se non conquistata (fin ciò fece testo un’intervista rilasciata da Marco Borradori alla “Regione”, ai tempi del 60.o compleanno).
Del clima attorno al “Cardiocentro”, in Municipio a Lugano (stamane riunione ordinaria, ma per solo contatto tra i membri dell’Esecutivo che a loro volta avevano seguito la diretta della conferenza-stampa), nella sede leghista di via Monte Boglia, nella città e nel Cantone, nemmeno vi è bisogno di dire: superato lo “choc” dell’incredulità, a migliaia erano piovuti i messaggi di incoraggiamento, c’è chi aveva pregato, c’è chi semplicemente aveva alimentato una speranza, e c’era anche chi, come pensiero personale, si era arreso a ciò che era da considerarsi come ineluttabile. Tempo di poche ore, e filo spezzato.